Parigi. - Un "assassino ancora in liberta'" e una redazione che si sente lasciata sola a fronteggiare con l'arma dell'ironia i tanti mali che affliggono il mondo: e' un bilancio amaro quello stilato da un sopravvissuto un anno dopo la strage compiuta il 7 gennaio negli uffici parigini di Charlie Hebdo, il settimanale satirico che pago' con otto morti la scelta di "ridere di tutto". "Ci sentiamo terribilmente da soli, speriamo che anche altri facciano satira", ha confessato Eric Portheault, il direttore finanziario, sopravvissuto nascondendosi sotto una scrivania, ricordando che "nessuno vuole unirsi a noi in questa battaglia perche' e' pericoloso, si puo' morire facendolo". Ieri, a pochi giorni dal primo anniversario, e' stata svelata la copertina del numero celebrativo: in primo piano un dio generico, con abiti insanguinati e un Kalashnikov sulla spalle, sotto il titolo "un anno dopo, l'assassino ancora in liberta'". Scontate le reazioni su internet, con il pubblico diviso tra chi si sente oltraggiato e chi lo trova acuto ed esilarante. Di fronte a uno fra i piu' gravi attentati contro la liberta' d'espressione si mobilito' il mondo intero: l'hashtag #JeSuisCharlie divenne in brevissimo tempo virale sui social, alla manifestazione di cordoglio per le vittime (17 in tutto, compresi due poliziotti in servizio, la guardia del corpo del direttore del settimanale e le 4 vittime uccise nel supermercato kosher due giorni dopo) parteciparono oltre 2 milioni di persone con decine di capi di Stato e di governo in prima fila a portare solidarieta'. Una settimana dopo l'attacco, Charlie Hebdo torno' nelle edicole, vendendo 7,5 milioni di copie. Un record impensabile solo un mese prima quando le vendite erano crollate a 30mila e si temeva la chiusura. Niente di nuovo per una redazione che dal 2006 era sotto protezione della polizia, da quando aveva pubblicato le vignette su Maometto, e nel 2011 aveva gia' subito un attentato incendiario.
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Ma nessuno immaginava la strage compiuta dai fratelli Kouachi, Said e Cherif, e rivendicata da Al-Qaeda nella Penisola arabica. Nell'attacco, la redazione perse otto colleghi, fra cui alcuni dei piu' noti vignettisti, come lo stesso direttore Stephane Charbonnier detto Charb, insieme a Jean Cabut (Cabu) e Georges Wolinski. Altri vennero gravemente feriti, come Laurent Sourisseau, conosciuto come Riss, che successivamente prese le redini. I sopravvissuti di Charlie Hebdo ripresero a lavorare ma tra molte difficolta', anche psicologiche, qualche malumore e la richiesta di una maggiore trasparenza nella gestione finanziaria della valanga di soldi arrivati dalle donazioni. A settembre, Luz, fra le piu' celebri penne del settimanale, annuncio' l'addio, troppo traumatizzato per continuare. "Quelli che ci hanno lasciato, hanno lasciato un buco enorme, mostruoso. Altri non hanno voluto lavorare con noi perche' pensano che sia troppo pericoloso, il che e' comprensibile. Abbiamo una spada di Damocle sulla testa", ha commentato Portheault. Ma, come ha spiegato dai nuovi uffici ad altissima sicurezza di cui l'indirizzo non viene rese noto, non c'e' nessuna auto-censura, "altrimenti significherebbe che hanno vinto". "Se quello che accade nelle notizie ci spingera' a disegnare di nuovo il profeta Maometto, lo faremo", ha assicurato. Intanto, il gruppo va avanti, e fai i conti con le ferite psicologiche dell'attacco ma anche i tragici avvenimenti recenti. "Con gli attacchi del 13 novembre e il primo anniversario, tutto e' tornato in superficie - ha raccontato Portheault - Ma non ci arrenderemo, non vogliamo che siano morti invano". (AGI)
(5 gennaio 2016)