Roma - L'accelerazione impressa al progetto di un sistema di difesa congiunto europeo e' finora la conseguenza piu' diretta del referendum che ha sancito l'addio alla Ue del Regno Unito. Lo ha riconosciuto la stessa responsabile per la politica estera e la sicurezza di Bruxelles, Federica Mogherini, la quale ha affermato che "per la prima volta dopo il fallimento della Ced, nel 1954, credo che si sia aperta una finestra di opportunita' per dare vita ad una Difesa europea". A far saltare tutti i passati tentativi di integrazione militare era infatti stata Londra, portata dalla speciale relazione con gli Usa a temere che simili iniziative potessero condurre a un ridimensionamento della Nato. Non e' un caso che lo scorso 8 luglio, poco tempo dopo la consultazione britannica, il segretario generale dell'alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, avesse voluto sottolineare i "progressi" della cooperazione tra Nato e Ue e la necessita' di portarla "a un altro livello". Pochi giorni dopo un elevato funzionario della Nato, in forma anonima, fu molto piu' esplicito parlando col quotidiano norvegese 'Aftenposten': "l'ultima cosa della quale l'Europa ha bisogno ora e' alterare le sue strutture di sicurezza di base", aveva affermato la fonte, "nello scenario peggiore, cio' potrebbe condurre alla rinazionalizzazione della politica di sicurezza e all'indebolimento della Nato".
Nondimeno le tre maggiori potenze della Ue del post-Brexit condividono tutte la convinzione che la Brexit sia, su questo fronte, un'occasione da non perdere. La condivide la Germania, che sta aumentando notevolmente gli investimenti in difesa. La condivide la Francia, da sempre il grande paese Ue con la vocazione piu' "integrazionista". E la condivide l'Italia, che desidera maggiore collaborazione nella gestione della crisi dei rifugiati e nel contenimento di una minaccia terroristica ormai affacciatasi sulle coste del Mediterraneo. Il vertice di Ventotene fu una chance per fare il punto anche su questo tema, in attesa che Mogherini esponga le linee del piano al vertice di Bratislava del prossimo 16 settembre. Eppure, nonostante sulla carta la questione non sia piu' di sua competenza, la Gran Bretagna continua a mugugnare, essendo un Paese che pagherebbe piuttosto caro un ridimensionamento della Nato.
Intervistato oggi dal Telegraph, Geoffrey Van Orden, responsabile dei 'tories' per la difesa, ha definito "preoccupante" l'accelerata di Berlino, Parigi e Roma. "Siamo tutti d'accordo che la Ue possa giocare un ruolo utile nella prevenzione dei conflitti e in alcuni aspetti civili della gestione delle crisi ma le sue ambizioni vanno oltre", afferma Van Orden, "l'obiettivo della Ue non e' accrescere la forza militare ma raggiungere l'integrazione della difesa come passo chiave sulla strada di uno Stato Ue federale". A parole, la tesi di Van Orden sembra quindi opposta a quella dei piani alti della Nato, dove si parla invece di "rinazionalizzazione" della difesa. Il concetto di base invece e' lo stesso: una politica di sicurezza europea renderebbe ancora piu' evidenti le divergenze di interessi tra i 'Big 3' di Bruxelles e gli alleati anglo-americani, rese palesi dal diverso approccio alla crisi in Ucraina. Ne e' perfettamente conscio Van Orden, che aggiunge: "La creazione di strutture di difesa europee separate dalla Nato porteranno solo a una divisione tra i partner transatlantici in un momento nel quale e' necessaria la solidarieta' di fronte alle molte, complesse e pericolose minacce alle democrazie". La butta invece in politica l'Ukip, il cui portavoce per la difesa, Mike Hookem, afferma che "un esercito europeo non e' piu' una fantasia euroscettica, ci sono molti a Bruxelles determinati a farlo accadere".
Il giorno della verita' per il futuro della Nato coincidera' probabilmente con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il principale "azionista". Se Hillary Clinton punta a mantenere, se non a rafforzare, il modello classico dell'alleanza atlantica, il candidato repubblicano Donald Trump ha spesso espresso posizioni isolazioniste e insofferenza per l'insufficiente contributo economico versato dai partner della Nato in confronto a Washington. "Che si paghino la difesa da soli", ha tuonato il tycoon nei mesi scorsi. Mesi nei quali, dall'altra parte dell'oceano, qualcosa si era gia' mosso.
A quanto si apprende da fonti comunitarie rilanciate dalle agenzie internazionali, nei palazzi di Bruxelles sta circolando l'idea di istituire dal 2017 un "fondo europeo per la difesa", spalleggiato dalla Banca Europea per gli Investimenti, che garantirebbe non solo la continua disponibilita' di risorse per i progetti congiunti ma anche la possibilita' di offrire finanziamenti ai paesi con problemi di deficit che abbiano bisogno di rimodernare il proprio apparato bellico. "Abbiamo isole di cooperazione, l'idea e' quella di collegarle in un arcipelago", aveva spiegato alla Reuters un funzionario della European Defence Agency.
Proprio l'obsolescenza tecnologica delle proprie dotazioni e' stata la molla che ha spinto Parigi ad approfondire le discussioni. La Francia e' sempre stata fiera della sua indipendenza in politica estera ma la minaccia terroristica interna non le consente piu', ad esempio, di mantenere contingenti importanti nelle ex colonie. E in Germania sono perfettamente consapevoli che solo un'integrazione con le forze francesi offrirebbe il necessario presupposto per una difesa comune europea. La sconfitta subita nella Seconda Guerra Mondiale ha infatti avuto un inevitabile peso nella lenta ricostruzione dell'esercito tedesco, che oggi conta appena 60 mila effettivi, contro i 99 mila italiani e i 112 mila francesi. Ad esempio, se si parla di armamenti e non di fondi economici, e' Berlino che ha bisogno di appoggiarsi agli alleati, tanto che il progetto di coordinamento della marina tedesca con quella olandese, un interessantissimo prodromo avviato nei mesi scorsi, prevede che la prima sia integrata nella seconda, non il contrario. Cosi' come la Germania non ha certo un ruolo di primo piano nel consorzio Mbda per la costruzione di missili di nuova generazione, che vede in prima fila Airbus (di cui la teutonica Daimler ha una quota), Finmeccanica e gli inglesi di Bae Systems. C'e' infine una ragione ben piu' ovvia per cui, a differenza dell'Europa dell'economia, l'Europa della difesa sarebbe a trazione piu' francese che tedesca. Con Londra fuori, la bomba atomica la avrebbe solo Parigi. (AGI)