di Tiziana Lippiello*
Venezia, 06 ago. - Professore alla prestigiosa Università Tsinghua, Wang Hui (1959-), considerato uno degli esponenti della cosiddetta “Nuova sinistra”, quasi provocatoriamente propone il tema della modernità sotto una nuova luce, osservando il mondo intero dalla prospettiva asiatica, o meglio, cinese.
Nel suo viaggio nella storia intellettuale e letteraria sfida le tradizionali interpretazioni, decostruendo lo stereotipo dell’Asia e proponendo una rappresentazione che supera la consueta prospettiva europea ed eurocentrica. Cosa intendono gli Asiatici quando parlano di Asia? Nonostante l’opera di Wang Hui assuma come focus la Cina, la sua riflessione pone un problema più ampio, auspicando, attraverso un’approfondita analisi della storia del pensiero cinese, il superamento del modello tradizionale di modernità. Contrapporre al modello occidentale un modello alternativo significa per Wang Hui recuperare la storia e ripensarla, nel tentativo di fornire all’uomo moderno le chiavi per comprendere la propria tradizione culturale. Insomma, ricollocarla in una nuova immagine di Asia e del suo ruolo nel mondo contemporaneo. Wang Hui suggerisce una visione della storia che rispecchia il dialogo delle culture dell’epoca contemporanea, suffragandola con conoscenze critiche e obiettive. Muove dall’analisi del pensiero di noti studiosi cinesi, quali Yan Fu (1854-1921), Liang Qichao (1873-1929) e Zhang Taiyan (1868-1936), che si interrogavano su idee e modelli introdotti dall’Occidente, opponendosi però alla egemonia della scienza e promuovendo la cultura umanistica (Confucianesimo, Buddhismo, Taoismo).
Secondo Wang Hui i paradigmi europei non possono essere applicati tout court all’interpretazione della storia cinese, benché, d’altro canto, anche la semplice adozione di modelli cinesi da sola non basti a garantire un’interpretazione oggettiva e corretta. Un esempio: Wang Hui sostiene che la dicotomia fra la nozione di impero, identificato con la Cina, e la nozione di Nazione, identificata con “l’Occidente”, sia tipica del pensiero occidentale. Evita di adottare questi paradigmi e si affida piuttosto alla terminologia utilizzata dai Confuciani di epoca Song (960-1279) illustrando come la nozione di “impero” (diguo), introdotta dal Giappone e dall’Occidente verso la fine della dinastia Qing (1644-1911), non appartenga alla tradizione cinese, che fin dall’antichità fu ancorata all’idea di Tianxia, ovvero “Ciò che sta sotto il Cielo”, “il mondo intero”. Tianxia ha implicazioni ben diverse dalla nozione di impero e rispecchia la consapevolezza cinese del proprio ruolo e dell’assenza di un confronto con l’altro: Tianxia non può essere identificato con un’entità politica, incarna piuttosto una serie di valori e idee che rinviano al rapporto dell’uomo con la natura, fra Cielo e Terra, e in generale alla concezione cinese del cosmo.
Wang Hui riconosce il valore del Confucianesimo, ed in particolare del Neoconfucianesimo di epoca Song, non solo come scuola di pensiero, ma anche e soprattutto per il suo importante ruolo nella legittimazione del potere politico nel corso dei secoli. Anche i classici, in particolare quelli della tradizione Jinwen (Nuovo Testo) ebbero un ruolo fondamentale nella politica di legittimazione dinastica in momenti cruciali della storia cinese, come durante l’unificazione della Cina sotto l’egida della dinastia Han (220 a.C.-221 d.C.) oppure nelle epoche in cui la Cina passò sotto il dominio di etnie straniere, come quelle Mongole e Mancesi. Furono queste ultime a doversi affidare alla classicità cinese per vedere legittimato il loro governo e non l’etnia Han a piegarsi agli usi e costumi di questi popoli.
Ispirandosi a Kang Youwei, Wang Hui parla di “Universalismo confuciano”, la cui nascita coincise con la presa di conoscenza della Cina come stato sovrano nel mondo, e modernità cinese anti-moderna, riferendosi alle posizioni di studiosi e statisti cinesi che alla modernità, intesa come trionfo della scienza, contrapposero una modernità ispirata alle scienze umane.
Nella sua monumentale Xiandai Zhongguo sixiang de xingqi (L’ascesa del pensiero cinese contemporaneo) Wang Hui affronta anche l’interessante tema della concezione del tempo in Cina: quella che lui definisce “la propensione del tempo” (shishi), la consapevolezza storica del momentum, la capacità di attendere che i tempi siano maturi: Confucio sosteneva che vi è un tempo per agire e un tempo per arrestarsi, mentre i fratelli Cheng nell’XI secolo commentarono che il controllo del tempo è il grande metodo del Classico dei Mutamenti (Yijing). Ed è a questa idea cinese che Wang Hui si affida nel rappresentare, o meglio, non ancora rappresentare, la propria idea di modernità.
A Wang Hui, il 20 Ottobre 2013, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, l’Università Ca’ Foscari conferirà il Premio Pacioli.
*Tiziana Lippiello, Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea Università Ca' Foscari di Venezia
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