Come tenere assieme competizione su mercati globali, apertura internazionale della filiera e tenuta dell'occupazione? Una quadratura del cerchio che dentro la metamorfosi del capitalismo globale imposta dalla crisi sembra sempre meno alla portata di un sistema industriale in affanno. Salvo che in quel di Campodarsego (Padova) sembra ce l'abbiano fatta. Qui è radicata un'azienda emblematica di un capitalismo di territorio cresciuto per aggregazione progressiva, a "grappolo" e capace di praticare lo spazio della globalizzazione senza rinunciare alla tenuta sul territorio: la Maschio Group. Produttore di macchine agricole, ha mille addetti di cui 670 in Italia e il resto sparsi tra Cina, Romania e, dal 2012, anche India, grazie a un accordo con il gruppo Mahindra.
Nasce nel 1964 come azienda familiare e progressivamente si allarga per incorporazione di altre aziende (nel 1983 la Gaspardo Seminatrici) risalendo la filiera meccanica. Oggi nel suo campo è tra i primi dieci produttori mondiali. Nel 2009 accusa il colpo del blocco delle commesse sui mercati internazionali, ma dal 2010 risale la china incrementando fatturati e mercato e tenendo salda la barra sull'occupazione. Nel 2012 la previsione è di salire ulteriormente, a oltre 210 milioni, dai 180 del consolidato 2011 (+30% sul 2010). Un risultato di tenuta e rilancio dentro la crisi fondato su due pilastri. Il primo, decisivo, l'internazionalizzazione di reti commerciali e filiera produttiva con la costituzione di dieci aziende di trading, dagli Usa all'Europa fino al Far East. Un'esplorazione dei mercati emergenti avvenuta per gradi, a medio raggio, con le filiali dell'area Est europea e Mediterranea dalla Polonia all'Ucraina fino alla Turchia e oggi allungatasi a presidiare il boom demografico oltre che economico delle economie ex emergenti. Concentrandosi sulle economie a forte espansione agricola, dal Brasile dove è in previsione l'apertura di una filiale produttiva, fino ai Paesi dell'Africa Sub-Sahariana e dell'Asia Centrale. Con una logica non di delocalizzazione ma appunto di presidio dei mercati locali.
Un'impresa "molla" Maschio Group, capace di rimbalzare tra locale e globale e costruire filiere produttive transnazionali, con la spola dei macchinari prodotti e assemblati tra lo stabilimento di Campodarsego e la Cina.
Nel modello di business del gruppo non c'è, però, la sola pratica delle reti lunghe del globale, quanto l'avvio di un progetto di innovazione (il gruppo investe il 3% del fatturato in R&S con 50 addetti nella sede centrale) legato ai temi dell'ecosostenibilità e della green economy per la produzione di una nuova generazione di macchine a energia pulita. Ma accanto all'innovazione tiene l'elemento delle radici territoriali. All'internazionalizzazione per gradi praticata dal gruppo si è accompagnata la volontà di tenuta sul fronte occupazionale. In un periodo in cui a volte sembra che internazionalizzazione equivalga a de-industrializzazione non è poco. Logica sfociata in un accordo sindacale per il quale negli stabilimenti produttivi del Padovano e del Friulano per almeno tre anni i posti di lavoro sono assicurati in cambio di moderazione salariale e di reinvestimento delle risorse risparmiate nella tenuta e crescita del gruppo. A dimostrazione che nel capitalismo di territorio la logica della comunità di fabbrica rappresenta un mastice che tiene ancora.
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07/03/2012