AGI - In Italia ci sono circa 65mila professionisti - tra cui procacciatori d'affari con partita Iva, influencer e altre figure che svolgono attività di mediazione - che dovrebbero essere iscritti ad Enasarco e non lo sono. Una vasta platea che elude i versamenti contributivi alla Cassa, rischiando di minarne la sostenibilità nel lungo periodo e causando uno squilibrio concorrenziale tra i professionisti che versano il dovuto e chi non lo fa. A lanciare l'allarme è Alfonsino Mei, Presidente di Fondazione Enasarco, in occasione dell'Assemblea pubblica, tenutasi oggi a Roma alla presenza del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli esteri Antonio Tajani.
"Nel nostro settore, come in molti altri, l'evoluzione tecnologica è stata più veloce dei regolatori. Ci siamo trovati di fronte a nuovi modelli di business e nuove professioni. Molte volte, pero', sono solo nuove modalità di svolgere lo stesso mestiere, rese possibili dalle tecnologie", spiega Mei.
"È dunque urgente e necessario un adeguamento normativo della legge 204/85, un dispositivo di 40 anni fa, che non riesce a individuare le nuove forme delle professioni di intermediazione. Bisogna cambiare subito direzione. È prioritario riconoscere e integrare le nuove figure che emergono nel nostro settore. Si tratta di un passo necessario per estendere le tutele a un numero crescente di professionisti, riflettendo le evoluzioni reali del mercato del lavoro e anche per garantire la sostenibilità di lungo periodo della Fondazione".
"Con una sentenza di marzo, il Tribunale di Roma ha confermato le nostre considerazioni sulla natura dei rapporti tra aziende e intermediari digitali. L'iniziativa su questo fronte, pero', dovrebbe venire dalla politica, non dai tribunali", conclude Mei.
"Serve urgentemente una revisione normativa, che auspichiamo arrivi già con la prossima legge di bilancio, per estendere le tutele di Enasarco anche alle nuove professioni e ai nuovi soggetti dell'intermediazione: tra questi non ci sono solo influencer e agenti di commercio 2.0. In Enasarco dovrebbero rientrare anche molte grandi piattaforme web che, nella realtà, esercitano integralmente o in parte un’attività di mediazione".