AGI - L'economia cinese si è impantanata e il governo deve fare di più, riprendere a erogare nuovi stimoli, se non vuole che le cose peggiorino. La ripresa della Cina scricchiola, per la crisi immobiliare e per la debole domanda dall'estero, che frena le esportazioni ma, più in generale, l'economia del Dragone non si è mai veramente ripresa dopo l'inaspettata revoca delle restrizioni da Covid della fine dello scorso anno.
È come se, dopo tre anni di controlli, lockdown, quarantene, i cinesi si fossero disabituati a produrre come prima, i piccoli imprenditori fossero sfiduciati e la locomotiva della seconda economia mondiale è quindi ingolfata e continua a viaggiare sottotono.
Cosa non funziona più
Dopo i dati macro, usciti a metà giugno, perfino l'ufficio nazionale di statistica ha ammesso che le basi per la ripresa "non sono ancora solide": a maggio la produzione industriale è rallentata al 3,5%, le vendite al dettaglio hanno frenato, l'edilizia non è ripartita, le banche stanno concedendo poco credito, i prezzi delle case sono aumentati in media solo dello 0,1% e la disoccupazione giovanile è schizzata al livello record del 20,8%.
Insomma, nonostante le riaperture, l'economia del Dragone perde slancio e, a questo punto, il governo di Pechino sembra aver capito che l'uscita dal Covid va governata meglio e che nuovi stimoli per stimolare la crescita vanno reintrodotti in fretta ed estesi anche agli indebitati enti locali, anche se cosi' facendo si rischia di incoraggiare comportamenti speculativi nell'economia che i leader cinesi si erano sforzati di eliminare.
Segnali deludenti
Il primo segnale importante è arrivato proprio il 15 giugno, in risposta ai deludenti dati macro, con il taglio da parte della banca centrale dei tre tassi ufficiali per contribuire a stimolare i prestiti. La Pboc è l'unica banca centrale al mondo che invece di rialzare i tassi li abbassa, anche perché la Cina è uno dei rari casi al mondo di area in prossimità della deflazione.
Tuttavia la politica monetaria da sola stavolta non basta. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il governo centrale sta prendendo in considerazione l'emissione di buoni del tesoro speciali per un valore di circa mille miliardi di yuan, pari a 140 miliardi di dollari, per aiutare a finanziare nuove infrastrutture.
Le autorità stanno anche prendendo in considerazione regole più flessibili per incoraggiare chi se lo può permettere ad acquistare più di un'abitazione, nonostante negli ultimi anni i principali leader non abbiano fatto altro che a ripetere che "le case servono per viverci, non per speculare".
È stato lo stesso premier Li Qiang a dire, in una riunione del Consiglio di Stato, che il governo sta studiando un pacchetto di misure per promuovere una crescita economica sostenuta, prendendo atto che "il rallentamento del commercio e degli investimenti globali influenzerà direttamente il processo di ripresa dell'economia del nostro Paese".
Pechino pronta all'azione
Insomma, stavolta pare che il governo sia veramente pronto ad agire. "Il vero ostacolo a una ripresa della crescita è la mancanza di fiducia", ha scritto Ting Lu, capo economista cinese di Nomura. La situazione è seria. Gli studenti universitari che si stanno laureando quest'estate hanno pubblicato online immagini virali che li mostrano mentre gettano i loro certificati di laurea nei bidoni della spazzatura, o si sdraiano a terra, a faccia in giù, per esprimere in modo plateale il loro abbattimento.
Ting Lu non usa mezzi termini per esprimere la sua preoccupazione e sostiene che la Cina sta diventando sempre più simile al Giappone degli anni '90, quando l'indebolimento della fiducia dopo un crollo immobiliare mise in ginocchio l'economia nipponica innescando un periodo di deflazione e crescita debole.
Nomura ha abbassato le sue previsioni di crescita del Pil cinese, portandolo al 5,1% e al 3,9% nel 2023 e nel 2024, dal precedente 5,5% e 4,2%. Gli economisti di Morgan Stanley sono più ottimisti e prevedono che i nuovi stimoli consentiranno all'economia del Dragone di riprendersi nel terzo trimestre, favorendo i consumi, mentre il resto lo farà il crescente predominio della Cina nella catena di approvvigionamento delle energie rinnovabili, che rafforzerà ulteriormente la crescita.
Altri ritengono che Pechino dovrà andare oltre, con misure come l'offerta di sussidi in contanti alle famiglie. Uno dei limiti maggiori per la Cina è che non ha buone alternative ai massicci investimenti in progetti di grandi dimensioni come ponti e metropolitane e la promozione della vendita di immobili.
E negli ultimi anni, le repressioni normative nei settori dell'alta tecnologia e dell'istruzione hanno reso molti imprenditori cauti nel lanciare nuovi investimenti. Insomma, Pechino deve affrontare una difficile sfida che mette in gioco il suo stesso tradizionale modello di sviluppo e deve farlo mentre la disputa sull'hi-tech, e in particolare sui chip, che è al cuore della competizione tra Cina e Stati Uniti e per la supremazia tecnologica, non è ancora stata risolta.
Pechino, vorrebbe disinnescare la "guerra dei chip", fatta di restrizioni alle esportazioni di queste componenti, fondamentali per gli smartphone, i prodotti elettronici e attrezzature militari. Oltre agli Stati Uniti, anche i Paesi Bassi, e più recentemente il Giappone, hanno avviato controlli all'export cinese.
Le autorità di Pechino ormai hanno capito non possono più rischiare di aspettare che la ripresa si avvii da sola e dovranno mettere in campo un bel po' di stimoli per evitare che il rallentamento della crescita peggiori.