AGI - Prima la lotta all'inflazione, ora gli aiuti alle banche. Il salvataggio di Credit Suisse e l’intervento coordinato delle principali banche centrali per fornire liquidità al sistema creditizio globale segnano un cambio di paradigma, Per la politica monetaria non è solo la fine dell'era del 'denaro facile' ma anche l'inizio di una nuova epoca, che ancora non ha un nome preciso, ma che potremmo definire quella del 'denaro difficile'.
Di cosa si tratti lo capiremo meglio già oggi con l'audizione della presidente della Bce, Christine Lagarde, alla commissione Affari monetari del Parlamento europeo cui seguiranno, mercoledì, la riunione del direttivo della Fed sui tassi e la conferenza stampa del numero uno dell'istituto centrale americano, Jerome Powell. La prima domanda che verrà loro posta non sarà più: cosa intendete fare per combattere l'inflazione? Ma piuttosto: cosa siete pronti a fare per aiutare le banche in difficoltà? O meglio: per aiutare le banche e per combattere l'inflazione continuerete a rialzare i tassi o serve altro?
“Powell – spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte – mercoledì sarà costretto a fare come il dentista che per toglierti un dente, cioè per rialzare i tassi, deve farti l’anestesia, cioè deve immettere liquidità sui mercati, altrimenti il paziente salta per il dolore. Quando ha provato a farlo senza anestesia, rialzando i tassi con poca liquidità, il paziente ha sentito un dolore forte. A quel punto la Fed ha dovuto anestetizzare le parti interessate. Ha dovuto prendere misure di emergenza per garantire tutti i depositi e per avviare una nuova linea di prestito per le altre banche, cioè fare una mega infusione di liquidità”. I numeri sono quelli rilasciati dalla Fed in questi giorni, da cui si ricava che, a partire da mercoledì, le banche hanno prelevato la cifra record di 152,9 miliardi di dollari dalla finestra di sconto della banca centrale, il cui bilancio è cresciuto di 300 miliardi di dollari.
“Ricapitolando – spiega Cesarano - immagino che mercoledì Powell dirà ai mercati: state tranquilli, io vi anestetizzo, cioè continuerò a immettere tutta la liquidità che serve, ma voi fatemi portare a termine l’operazione, lasciatemi togliere un altro pezzo di dente. Lasciate che rialzi ancora i tassi di altri 25 punti base per combattere l’inflazione, che è ancora al 6%, portando il Fed fund al 5%. In cambio, inietterò tanta liquidità, sia come collaterale, sia come tasso”. In questo modo il presidente della Fed punta a ottenere due piccioni con una fava: aiutare le banche con la liquidità e andare avanti con la lotta all’inflazione.
L'intervento delle Banche centrali
Di qui l’intervento d’urgenza messo in campo ieri sera in modo coordinato da Fed, Bce, Banca del Giappone, Boe, Banca del Canada e Banca nazionale Svizzera, che hanno aperto linee swap permanenti in dollari per abbeverare il mercato. Lagarde la scorsa settimana aveva in qualche modo preannunciato la discesa in campo, sottolineando che la Bce sarebbe stata "pronta ad agire se necessario”, anche riattivando le proprie linee di liquidità straordinaria.
Il punto è capire cosa succederà nei prossimi mesi. “La Fed – sostiene Cesarano – continuerà a iniettare liquidità, magari con meno frequenza di adesso. Mercoledì i dots ci diranno fin dove potrà spingersi coi tassi. Non credo che quest’anno si andrà oltre il 5,25%. Per cui la Fed potrebbe aumentare ancora i tassi a maggio di un altro 0,25%. Ma da un certo punto in poi diventerà quasi inutile continuare ad alzare i tassi, perché il lavoro sporco di abbassare l’inflazione, nella seconda metà dell’anno, lo farà la recessione. Credo che a giugno la Fed smetterà di rialzare i tassi e si fermerà, finché l’anno prossimo non inizierà a pensare a dei tagli. Ma a quel punto l’inflazione dovrebbe aver smesso di far male. Vedremo che succederà con la banche e , nel frattempo, ci sarà da fare i conti con la recessione o, nel migliore dei casi, con la ripresa dell’economia, mentre I tassi di mercato avranno ripreso a scendere. Il Treasury a 10 anni adesso è al 3,8% e lo prevedo intorno al 2,5% per fine anno”.
A quel punto la politica monetaria della Fed potrà tornare accomodante. "Realisticamente", rileva Cesarano, "l’obiettivo della Fed è riportare l’inflazione Usa al 3-4%. Questo non significa che la politica monetaria tornerà come prima, che i tassi torneranno negativi o a livello zero. L’epoca del ‘denaro facile’ come la intendevamo prima, nel 2019-2020, probabilmente è finita, ma se per 'denaro facile' si intende denaro intorno al 2-3%, allora penso che sia una cosa possibile. La nuova realtà dovrà eliminare certi eccessi, i tassi sotto zero ma anche tassi al 5-6%, con i quali rischi che il mondo finanziario ti crolli addosso. Tuttavia", conclude l'analista, "penso che un ritorno al 2-3% cioè ai livelli competitivi del 2019, sia un obiettivo possibile”.