AGI - Con la pandemia di coronavirus prima e il conflitto russo-ucraino poi, l’economia occidentale sta vivendo una stagione d’incertezza, con il settore industriale che deve fronteggiare anche l’inflazione galoppante.
In questo quadro di contesto, molte imprese italiane, dopo aver puntato su Middle e Far Est, stanno tracciando la rotta verso sud e iniziano a guardare con interesse al continente africano, merito del dinamismo dei mercati e della progressiva crescita demografica.
I dati parlano chiaro: nel 2021 le esportazioni italiane in Africa hanno registrato un fatturato complessivo pari a 18 miliardi di euro. I Paesi che trainano il Made in Italy sono Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libia e Sudafrica. Mentre è la Lombardia a guidare le esportazioni, seguita da Sardegna, Sicilia, Liguria, Emilia-Romagna e Veneto.
Nel dettaglio l'export italiano in Africa si suddivide in 12 miliardi di euro in Nordafrica (Egitto 3,8 miliardi, Tunisia 2,9, Marocco 2,2, Algeria 1,8, Libia 1,1) e 6,1 miliardi nell’Africa subsahariana, dove i principali mercati sono la Repubblica Sudafricana (2,3 miliardi), la Nigeria (1 miliardo), Senegal e Angola (0,3 miliardi), Ghana e Kenya (0,2 miliardi). In particolare nell'Africa subsahariana la cifra è salita dai 5 miliardi del 2020 ai 6,1 miliardi del 2021 (+21%) e si prevede che crescerà del 5,6% nel 2022.
Del resto, l’Africa è in continua trasformazione sia sul piano economico che sociale, vanta 54 Stati, una popolazione di 1,3 miliardi persone, per il 50% giovani under 20 anni, e un Pil che negli ultimi 15 anni è raddoppiato. Qui il Belpaese può giocare un ruolo sempre più da protagonista, investendo sul capitale umano e contribuendo allo sviluppo della società africana.
Non solo grandi infrastrutture, dalla logistica al digitale, ma anche energia e agroalimentare. Diversi i progetti finalizzati alla creazione di intere filiere produttive, supportati dalle istituzioni italiane, la rete diplomatica, Cdp, Sace, Simest, ICE-Agenzia e il Sistema Confindustria. Seguendo una duplice strategia: da un lato, la partecipazione attiva ai programmi europei su base multilaterale; dall’altro, lo sviluppo di rapporti bilaterali strutturati tramite i quali le imprese italiane possono raccogliere interessanti opportunità nel continente africano.
Lo spiega all'AGI Sergio Tommasini, consigliere di Confindustria Assafrica e amministratore delegato di Airone Seafood, azienda di Reggio Emilia attiva nel settore delle conserve ittiche a base di tonno, che ha il proprio stabilimento produttivo ad Abidjan, dove sorge il più grande porto peschereccio dell’Africa occidentale: “In Costa d’Avorio operiamo in zona franca e questo comporta dei vantaggi competitivi legati a una decontribuzione del 50% dei costi di elettricità, acqua e carburante – dichiara Tommasini –. Quindi fare impresa in Africa risulta essere un beneficio netto anche rispetto alla situazione complicata che altre imprese energivore hanno vissuto e stanno vivendo tuttora ad altre latitudini”.
In questo caso, i vantaggi competitivi che il governo ivoriano garantisce alle imprese estere che investono sul suo territorio si abbinano a precisi oneri sociali, con avanzate politiche di welfare adottate direttamente dalle imprese: “Basti pensare ai prestiti per la scolarizzazione dei figli dei dipendenti o al supporto economico ai funerali dei familiari – fa sapere Tommasini –. Oppure alla cantina sociale, per permettere agli operai ivoriani di godere di un’alimentazione salutare e controllata dal nostro centro medico o al sostegno economico per il trasporto da casa al luogo di lavoro”.