AGI - Al termine di tre giorni di testimonianze e dibattiti su vari temi relativi al divario di genere sul posto di lavoro, WomenXImpact, il forum voluto da Eleonora Rocca per l’empowerment femminile sponsorizzato da Eni, ha assegnato il premio Startup Competition a Feed their minds.
È un’iniziativa dell’imprenditrice Raffaella Silbernagl, che come spesso accade nelle imprese femminili l’ha promossa sulla base di una propria esigenza, quella di madre di un figlio “plusdotato” dal punto di vista intellettiva.
La sua startup è arrivata prima in una ristretta rosa di società che avevano superato una selezione fra 300 candidate. Come ha spiegato la stessa fondatrice, ricevendo il riconoscimento, Feed their minds punta a “nutrire i sogni dei ragazzi ad alto potenziale cognitivo”.
L’obiettivo, ha spiegato, è “creare dinamiche inclusive per chi è plusdotato: a scuola si fa giustamente molto per l’inclusione dei ragazzi disabili, ma anche i superintelligenti incontrano difficoltà seppure di diversa natura”. Di inclusione, e di iniziative per colmare il divario di genere si è molto parlato nei tre giorni bolognesi. Il cambiamento della mentalità all'origine del divario di genere passa attraverso l'educazione e la stampa, ma la strada da fare è ancora lunga, si è detto nei dibattiti della giornata conclusiva.
Per Sarah Varetto, ex direttrice di SkyTg24 e ora vicepresidente per la Comunicazione e l’inclusione dell’emittente, ha ricordato nel suo intervento alcuni esempi di testi scolastici per i bambini delle scuole primarie in cui si diffondono stereotipi e addirittura bufale: “che le donne facciano meno figli da quando lavorano fuori casa è falso, basta confrontare le statistiche su percentuale di lavoro femminile e numero di figli pro capite in Italia e Francia o Svezia per averne la prova. La verità è che serve un lavoro politico e culturale, a partire dal fatto che ci sono pochi asili, ma anche per superare il cosiddetto pregiudizio inconscio che pervade la nostra società e non solo gli uomini”.
Del resto, anche i dati sul divario di genere nel mondo dell’informazione presentati dal network di società di pubbliche relazioni L45 conferma le grandi differenze tuttora esistenti. La giornalista Ilaria Maria Dondi, direttrice di Roba da Donne, ha parlato degli stereotipi di genere di cui è ancora intrisa l’informazione.
“Anche il giornalismo, come altri baronati maschili, le università, la finanza, è un luogo di discriminazione. Molte volte non è consapevole, semplicemente un modo di difendere un privilegio che sentono in pericolo. Le vittime non sono solo le donne, unico caso di maggioranza discriminata, ma anche le minoranze di genere, i cosiddetti ‘non binari’”.
Dondi ha portato il recentissimo esempio delle tre donne uccise a Roma, “nel migliore dei casi hanno parlato di due donne e un trans”, ha fatto notare e ha ricordato i titoli sulle “tre cicciottelle che hanno sfiorato il podio olimpico”, che hanno suscitato polemica alle ultime olimpiadi. Le atlete in questione erano quelle della squadra nazionale di tiro con l’arco, che non corrispondevano precisamente agli stereotipi di magrezza considerati coerenti con l’immagine di una sportiva.
In un dibattito fra 5 professioniste dell’informazione e della comunicazione si è parlato del futuro dei media: come fornire informazione di qualità e difendere la società dalla disinformazione utilizzando i social network e i cosiddetti “new media”?, si sono chieste le partecipanti.
La qualità e l’affidabilità sono stati individuati come elementi chiave di una corretta informazione, non solo su inclusione e genere. Grande interesse e anche commozione hanno suscitato sul palco di Bologna anche gli interventi di donne disabili, tutte impegnate nel promuovere l’accessibilità per le loro simili ed evitare loro le difficoltà esperimentate sulla propria pelle.
Benedetta De Cecco, che fa parte della squadra che c’è dietro a WomenXImpact di cui è Project manager e si muove su una sedia a rotelle e ha raccontato il suo percorso di vita, pieno di forza e coraggio. Diana Gioffrè è salita sul palco con il suo cane-guida Camilla: non vede dall’età di 13 anni.
“Non è stato facile – ha detto – Ero un’adolescente e il mondo esterno mi era inaccessibile. Ma grazie agli esempi di altre donne che avevano avuto una simile esperienza ce l’ho fatta: la consapevolezza di dover raggiungere comunque un obiettivo di vita, ogni vita ha diritto di essere vissuta, nessuna ha meno valore”.
Oggi Diana è vicepresidente di un’associazione per la riabilitazione e dirige una scuola per cani guida per i ciechi e parla, sicura e sorridente, di quelle che chiama “le vie alternative per raggiungere il successo”.