AGI - L’agrifood italiano corre veloce. E si impone sul resto degli altri Paesi, anche se – va detto – sono assai pochi i grandi attori a dividersi la torta degli scambi internazionali dell’agroalimentare. Su tutti prevalgono gli Stati Uniti, che s’aggiudicano la porzione più consistente dell’intera torta con il 9,6% del totale, pari a un valore di 148 miliardi di euro. A ruota, seguono Paesi Bassi, Germania e Francia.
A fare il punto della situazione è il Rapporto Focus On diffuso da Sace, società specializzata nel sostegno alle imprese italiane, in particolare le PMI, che vogliono crescere in Italia e nel mercato globale e le affianca con l’obiettivo di aiutarle a rafforzare la liquidità, la resilienza e la competitività complessiva.
Quel che emerge dal Rapporto è che l’agrifood italiano è caratterizzato da un tessuto imprenditoriale composto in prevalenza “da piccole imprese dalla buona dinamicità oltreconfine”, tant’è che nel 2021 l’export italiano del settore ha raggiunto “la soglia record di 52 miliardi di euro”, grazie soprattutto al traino di alimentari e bevande (+11,6%), ma la performance è stata positiva anche per i prodotti agricoli (+8,8%).
Oltre agli storici mercati tradizionali di punta come Germania e Stati Uniti, come visto, ottime prospettive arrivano da geografie in crescita come Cina, Corea del Sud e, con le dovute cautele, la Polonia. Cosicché, se a livello di esportazioni tra i principali attori figurano numerosi Paesi emergenti, per l’import globale si osserva, invece, una netta prevalenza dei Paesi avanzati, ovvero solo gli emergenti Cina, Messico, Russia e India sono tra i primi 15 importatori.
E l’Italia, dunque? Il Rapporto di Sace sottolinea che di suo l’Italia, è forte di un alto valore di vendite estere di prodotti lavorati (vini e spirit su tutti), tant’è che a fronte di un import “composto in larga misura da prodotti agricoli o comunque in fasi iniziali di lavorazione, presenta un saldo commerciale in positivo (4,6 miliardi) e si posiziona al nono posto tra gli esportatori mondiali e all’ottavo tra gli importatori.
Un buon risultato dunque che la posizionano tra i primi dieci Paesi al vertice per gli scambi internazionali. Tanto da rendere il nostro Paese una “(pen)isola felice”, dove la parentesi nel suffisso serve a sottolineare se non la sua rarità la sua vera e propria unicità in quest’ambito commerciale.
Tutte queste considerazioni portano così a delineare un quadro che per l’immediato, cioè il 2022 fa sì che l’anno in corso si prospetti come un periodo caratterizzato ancora dalla tendenza ad una “crescita (+19,5% tra gennaio e marzo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), pur mostrando rischi al ribasso legati alle incognite del contesto internazionale e agli aumenti di prezzo delle materie prime agricole” dovuto ai rilevanti costi energetici in seguito sia alla pandemia, prima, e al conflitto russo-ucraino successivamente.
Così si legge nel Rapporto Focus On di Sace: “Il conflitto e le sue conseguenze economiche hanno portato a un deterioramento del mercato delle materie prime agricole a cui si sommano condizioni meteo non favorevoli, rincari dei costi di fondamentali input produttivi per la filiera agroalimentare, quali energia e fertilizzanti, e strozzature nella logistica. Russia e Ucraina, insieme, forniscono più del 30% dell’export mondiale di grano, circa il 20% di quelle di mais e l’80% di olio di girasole. L’esposizione italiana a tali beni è riferibile al 50% di olio di girasole, al 17% di mais e circa al 4% di grano”.
In questo quadro deteriorato se non ancora del tutto compromesso, tuttavia la performance italiana si rivela ancora una volta positiva perché “vino, olio d’oliva e pasta portano l’eccellenza italiana sulle tavole di tutto il mondo”.
E per esempio nel 2021 il loro export complessivo “ha rappresentato il 22,4% del totale export agroalimentare, attestandosi a €11,7 miliardi (+7% rispetto al 2020)” ciò che fa sì che continui “la dinamica di crescita dei consumi futuri, con presidi dell’export italiano più o meno consolidati”.
Insomma, se vino e pasta presentano una maggiore eterogeneità, “il comparto dell’olio d’oliva mostra una forte concentrazione internazionale, con un netto divario tra le prime quattro principali destinazioni dell’export italiano e le restanti”.
La conclusione del Rapporto è che “anche per un settore così virtuoso il futuro prospetta importanti sfide strutturali” perché l’agrifood “rappresenta, infatti, un canale per una sempre maggiore sostenibilità” in quanto “l’Europa si sta muovendo per accelerare la transizione verso un sistema alimentare sostenibile rendendolo equo, sano e rispettoso dell’ambiente”. Ovverosia, si legge ancora, in questas radiografia del settore: “L’agricoltura 4.0 non è solo futuro, ma è anche già presente: macchinari agricoli connessi e blockchain rendono la filiera più efficiente, sostenibile, responsabile e trasparente”.
Per l’Italia, in ultima analisi, stanti i tempi cupissimi tra l’incudine e il martello pandemia-guerra, si prospetta un futuro più roseo del previsto.