AGI - Anche le sanzioni giocano il loro ruolo sul tavolo negoziale in corso tra Russia e Ucraina. Mosca, nell'ambito di un eventuale processo di pace, chiederà che le misure economiche imposte dall'Occidente contro l'invasione vengano rimosse, ma il danno politico e reputazionale autoinflittosi dal Cremlino rischia di rivelarsi senza ritorno.
E anche le aziende europee e americane, con ogni probabilità, saranno chiamate a rivedere il proprio modello di business, messo a dura prova da pandemia prima e guerra poi.
"Dal punto di vista formale", spiega Nicola Borri, titolare della cattedra di asset pricing alla Luiss, "con l'eventuale rimozione delle sanzioni, si potrà ricominciare a fare affari e a scambiare denaro. Basterà un ordine esecutivo o attendere la scadenza per le misure che ne prevedono una. Dal punto di vista materiale, però, la mia percezione è che non si tornerà al 'business as usual'. L'azione di Putin ha creato danni irreversibili".
Innanzitutto, sottolinea l'economista, "è aumentata la percezione del rischio politico ed è difficile che le imprese occidentali, che hanno dovuto chiudere i battenti da un giorno all'altro, torneranno in Russia in tempi brevi. E lo stesso vale per la ripresa degli scambi commerciali".
Ma a pesare sarà anche il rischio reputazionale. "Pensiamo a una multinazionale come McDonald's", rileva Borri, "che ha chiuso tutti i suoi negozi russi. Non lo ha fatto certo perché temeva una loro distruzione fisica, ma perché è consapevole che agli occhi di un consumatore occidentale i profitti fatti in Russia sarebbero apparsi come qualcosa di sbagliato. E questa percezione non cambierà certo nell'immediato".
Borri, in caso di pace, individua due scenari. "Il primo vede la globalizzazione vincente in ogni caso. La Russia", spiega, "rimane comunque più isolata, ma la Cina non si allea con Mosca e il commercio internazionale riparte".
Nel secondo caso, invece, Pechino stringe maggiormente i suoi legami con Mosca "e, allora, si tornerebbe alla creazione di blocchi contrapposti e l'impatto sulla globalizzazione sarebbe molto più importante". Tuttavia, rileva l'economista, "quest'ultimo scenario mi pare più improbabile, perché la Cina ha tutto l'interesse a mantenere aperto il mercato mondiale ai propri prodotti".
Anche per le imprese occidentali però qualcosa è destinato a cambiare. "L'aumento del rischio politico", afferma Borri, spingerà molte aziende a rivedere il proprio modello di business. Se prima ci si fondava sull'import di molti prodotti intermedi e una produzione just in time con pochissime scorte, la pandemia e la crisi ucraina spingeranno molti a riportare a casa molte produzioni e ciò inevitabilmente ridurrà il commercio internazionale".
Coronavirus e guerra hanno imposto una rivalutazione dei rischi collegati alla catena del valore, conclude l'economista, "e ci si è resi conti che una certa flessibilità, data per scontata, può incepparsi".