AGI - A fine 2020, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre 2/3 della ricchezza nazionale mentre il 60% più povero appena il 14,3%. A fine 2020, il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.
A fine 2020, il 5% più ricco degli italiani deteneva una ricchezza maggiore dell’80% più povero. La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco valeva oltre 51 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.
Sono alcuni dati-chiave riferiti al nostro Paese contenuti nel rapporto “La pandemia della disuguaglianza”, pubblicato da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, che quest’anno si terranno in forma virtuale.
Nei 21 mesi della pandemia intercorsi tra il mese di marzo 2020 e il mese di novembre 2021 il numero dei miliardari italiani nella Lista Forbes è aumentato da 36 a 49, scrive Oxfam. I 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte).
Nel 2020, le famiglie in povertà assoluta sono passate da 1,6 milioni nel 2019 a 2 milioni. A livello individuale sono oltre 1 milione i nuovi poveri (per un totale di 5,6 milioni).
Nel 2019, a pochi mesi dallo scoppio della pandemia, l’11,8% dei lavoratori occupati (per almeno 7 mesi all’anno) era povero. Godevano cioè di un reddito familiare inferiore al 60% del valore mediano del reddito disponibile equivalente su base familiare.
Nelle ultime tre decadi - aggiungono gli analisti di Oxfam, organizzazione che conta attivisti in 90 Paesi del mondo e che si batte per la lotta alle diseguaglianze sociali - la quota di 'working poor' (lavoratori con retribuzione annuale inferiore a 10.837 euro e mensile inferiore a 972 euro nel 2017) risulta significativamente aumentata dal 26% del 1990 al 32,4% nel 2017.
"Il trend incrementale - si legge nel report - interessa anche l’intensità della povertà lavorativa con l’indice del gap di povertà (i.e. la distanza dalla soglia di povertà relativa, ridottasi nel periodo 1990-2017 come conseguenza della stagnazione salariale) incrementato di oltre il 4%, passando dal 13,8% del 1990 al 17,9% del 2017".
Per quanto riguarda l’intensità del lavoro, a contribuire alla povertà lavorativa è la forte e perdurante diffusione del part-time (in prevalenza involontario), la cui incidenza è quasi triplicata dall’inizio del nuovo millennio.
"Le persistenti disuguaglianze di genere nell’accesso, nella permanenza e nella progressione delle carriere sul mercato del lavoro italiano rischiano di inasprirsi per effetto della pandemia. Le donne, insieme ai lavoratori giovani e stranieri, sono risultate tra le categorie più colpite dalla crisi che ha per questo meritato l’appellativo di she-cessione".