AGI - C'è attesa per la riunione dell'Opec+, chiamato a decidere su quale sarà il livello di produzione di petrolio a dicembre 2021, ovvero se attenersi al piano originale che prevede il ritorno sul mercato di 400.000 barili al giorno, oppure aprire i rubinetti e cedere alle pressioni dei Paesi maggiori consumatori - Stati Uniti in testa - che chiedono un aumento della produzione.
La maggior parte degli analisti conta su una prosecuzione dell'attuale strategia, considerando che oltre 4 milioni di barili restano 'fermi' ogni giorno. A questo ritmo, la coalizione dispiegherà la sua piena capacità produttiva in poco meno di un anno. "Nonostante le molte pressioni esercitate sull'Opec+ per aumentare la produzione in modo più significativo, i suoi membri continuano a resistere e sembrano preferire attenersi al loro piano", hanno affermato gli analisti della banca olandese Ing.
Il malcontento dei Paesi consumatori
Il malcontento dei Paesi consumatori si è fatto sempre più evidente nelle ultine settimane, con gli Usa che hanno alzato la voce anche negli ultimi giorni. Il fatto che "Russia, Arabia Saudita e altri grandi produttori non pompino più petrolio non è giusto", ha lamentato il presidente Joe Biden, a margine del G20 di Roma, prendendo di mira direttamente l'Opec+. Se dal cartello non arriverà più petrolio - è il messaggio - ad aumentare l’offerta potrebbero pensarci gli Stati Uniti, con un ricorso alle riserve strategiche, eventualmente coordinato con altri Paesi consumatori.
Il contratto del greggio statunitense di riferimento, il Wti, è stato scambiato all'inizio intorno agli 85 dollari al barile, molto vicino al suo massimo dal 2014 raggiunto l'ultima settimana di ottobre 2021. Ora un barile di Wti passa di mano a poco più di 82 dollari. "Data l'intensità delle pressioni esercitate dalla Casa Bianca e da altri Paesi consumatori, non possiamo in alcun modo escludere che l'Arabia Saudita (leader dell'alleanza, ndr.) possa dare il via libera a un aumento di oltre 400.000 barili al giorno", ha osservato Helima Croft della Royal Bank of Canada.
I fattori di rischio
Anche altre nazioni che importano l'oro nero, come India e Giappone, stanno spingendo affinché l'Opec+ aumenti la produzione. L'organizzazione stessa ha fatto eco a un incontro virtuale tra il segretario generale Mohammed Barkindo e Hardeep Singh Puri, ministro indiano il cui vasto portafoglio copre anche l'Energia, insistendo sulla "volatilità del mercato attuale e sui prezzi elevati".
Ma per il momento l'Opec+ insiste sui fattori di rischio che incombono sulla domanda per giustificare il mantenimento della sua politica prudente, evocando anche i - verissimi - nuovi picchi di contaminazione da Covid osservati in Russia e Cina. Questa strategia, favorevole ai fondi dei produttori, permette anche di risparmiare un posto a uno dei membri oggi escluso dal mercato, l'Iran.
I negoziati sul nucleare iraniano per salvare l'accordo concluso nel 2015, che avrebbe dovuto impedire a Teheran di acquisire armi atomiche - accordo che gli Stati Uniti avevano denunciato unilateralmente nel 2018 - riprenderanno il 29 novembre a Vienna. Un esito favorevole segnerebbe logicamente il ritorno a medio termine dell'Iran sul mercato dell'oro nero, che potrebbe tradursi in un'offerta aggiuntiva di circa 2 milioni di barili al giorno.
Diversi osservatori del mercato hanno anche condiviso i loro dubbi sulla capacità di alcuni membri del cartello di poter aumentare ulteriormente la produzione, poiché gli impianti di perforazione hanno sofferto durante la pandemia per i ritardi nell'assistenza e nella manutenzione.