Per l'Economist viviamo un paradosso in vista di Cop26

smog cina pechino (Afp) 

I nodi da sciogliere

  • In primo luogo, "gli investimenti energetici sono a metà del livello necessario per soddisfare l'ambizione di raggiungere lo zero entro il 2050. La spesa per le energie rinnovabili deve aumentare. E l'offerta e la domanda di combustibili fossili devono essere ridotte di pari passo, senza creare pericolosi squilibri. I combustibili fossili soddisfano l'83% della domanda di energia primaria e questa deve scendere verso lo zero. Allo stesso tempo il mix deve spostarsi dal carbone e dal petrolio al gas che ha meno della metà delle emissioni del carbone". Ma diversi fattori, come anche la pressione degli investitori e i regolamenti troppo stringenti, "hanno portato gli investimenti nei combustibili fossili a crollare del 40% dal 2015". Il gas è uno degli elementi di pressione. The Economist ricorda che molti paesi, in particolare in Asia, ne hanno bisogno per poter contare su un combustibile ponte negli anni 2020 e 2030, vale a dire passando ad esso temporaneamente mentre abbandonano il carbone, ma prima che le rinnovabili siano aumentate. Oltre a usare i gasdotti, la maggior parte importa il gas naturale liquefatto (Lng). Troppo pochi progetti però stanno entrando in funzione. Secondo la società di ricerca Bernstein, il deficit globale di capacità di GNL potrebbe aumentare dal 2% della domanda attuale al 14% entro il 2030.
  • Secondo problema, come elemento di pressione, è rappresentato dalla geopolitica, dato che le ricche democrazie abbandonano la produzione di combustibili fossili e l'offerta si sposta verso sistemi autocratici con meno scrupoli e costi più bassi, compreso quello gestito da Putin. La quota di produzione di petrolio dell'Opec+ potrebbe aumentare dal 46% di oggi al 50% o più entro il 2030. La Russia è la fonte del 41% delle importazioni di gas dell'Europa e la sua influenza crescerà con l'apertura del gasdotto Nord Stream 2 e lo sviluppo dei mercati in Asia. Il rischio sempre presente è che riduca le forniture.
  • Terzo e ultimo problema citato da The Economist è la progettazione "imperfetta" dei mercati energetici. "La deregolamentazione dagli anni '90 ha visto molti paesi passare da decrepite industrie energetiche statali a sistemi aperti in cui i prezzi dell'elettricità e del gas sono fissati dai mercati, i quali sono a loro volta composti da fornitori concorrenti che aggiungono offerta se i prezzi aumentano. Il pericolo insomma è che lo shock che stiamo vivendo rallenti il ritmo del cambiamento.
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