AGI - L’impatto della pandemia sul reddito delle famiglie italiane è stato rilevante, ma si è distribuito in maniera diversa soprattutto in funzione delle restrizioni alle attività produttive imposte dalle misure di contenimento del contagio. Lo rileva il rapporto AGI/Censis dal titolo: "Il lavoro inibito: l'eredità dopo la pandemia". Secondo la ricerca, in media 3 famiglie su 10 hanno subito una riduzione del reddito nel corso della pandemia.
Più precisamente, il 5,5% delle famiglie ha visto ridursi il reddito di più del 50% rispetto a prima della pandemia, il 9,1% ha dichiarato una riduzione tra il 25% e il 50%, il 16% una riduzione inferiore al 25%.
Lo studio mette in luce che il 43,2% dei lavoratori autonomi ha dichiarato invariato il proprio reddito rispetto a prima della pandemia, contro il 66,5% dei lavoratori dipendenti. Se si sommano le famiglie che hanno comunque riscontrato una perdita di reddito, quelle dei lavoratori dipendenti raggiungono il 27,9%, ma la percentuale raddoppia tra quelle dei lavoratori autonomi (54,7%).
Secondo la ricerca, il “lavoro povero” in Italia, al netto della pandemia, riguardava quasi 3 milioni di occupati, di cui il 53,3% era rappresentato da uomini e il 46,7% da donne. La soglia sotto la quale è da considerare “povero” un lavoro è stata stabilita in 9 euro all’ora.
La dimensione di un reddito da lavoro insufficiente era, inoltre, riconducibile a oltre un milione di lavoratori con un’età compresa fra i 15 e i 29 anni e a circa 1,4 milioni con un’età fra i 30 e i 49 anni. Il 79% apparteneva alla categoria degli operai (2,3 milioni di occupati) e il 12,3% a quella dei dirigenti e degli impiegati.
Ma quella del lavoro povero - fa notare la ricerca - non è l’unica dimensione da cui partire per meglio comprendere la psicologia collettiva che si sta formando intorno al lavoro nel post Covid. Un altro elemento che si trascina da tempo nell’ambito del lavoro dipendente è anche dato dalla progressiva polarizzazione del reddito da lavoro fra diversi settori e diverse categorie. La persistenza del gap retributivo che separa uomini e donne nell’occupazione è forse l’aspetto più macroscopico, ma non il solo.
Prendendo come riferimento la retribuzione lorda media oraria fissata a 14,04 euro nei settori industriale e terziario, la forbice fra le diverse componenti del lavoro mette in evidenza uno scarto negativo del 6,6% per le donne, del 13,9% per chi lavora a tempo determinato, del 16,2% per chi è inquadrato con una qualifica di operaio. Nel caso dell’apprendista la qualifica che per definizione segna l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani il gap negativo raggiunge il 35,0%.