Che differenza c'è tra Guernica e un meme? Il primo ha un valore perché c'è una certificazione che attesta essere di Picasso; il secondo non vale nulla. Al di là della provocazione, c'è un tema reale: l'autenticità dei contenuti online. Parafrasando Walter Benjamin, è l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità digitale.
È da qui che bisogna partire per capire gli Nft, certificati su Blockchain che promettono di cambiare (e in alcuni casi di creare) il concetto di autenticità. Che sia una rivoluzione – come dicono i sostenitori – o una crypto-bolla – come affermano i critici – non è ancora dato sapere.
Cos'è un Nft e come funziona
Nft sta per “non fungible token”, cioè unità di valore digitale non fungibile. È, in parole povere, un certificato. Solo che la sua attendibilità non è data da un ente terzo ma derivata dalla Blockchain: il libro mastro digitale registra le transazioni e indica a chi appartiene. Da questo punto di vista, un Nft non è diverso da un Bitcoin o da un Ether.
C'è però una differenza sostanziale: Bitcoin ed Ether (così come una moneta da un euro) sono tutti uguali. Non hanno caratteristiche distintive e sono interscambiabili. Se una bottiglia d'acqua costa un euro, la si può pagare con una moneta con l'uomo vitruviano, con la faccia di Mozart o con due monete da 50 centesimi.
Gli Nft, invece, sono trasferibili ma non interscambiabili. Sono unici e individuano qualcosa di unico, come un'opera d'arte. E possono avere un proprietario (o un gruppo di proprietari) per volta. Se ho un euro in tasca, non posseggo tutte le monete da un euro. Ma se ho comprato un quadro di Picasso, è mio e solo mio.
Il problema del copia-incolla
Gli Nft si propongono di superare il problema del “copia incolla”. Sul web, il duplicato di un audio Mp3 o di un'immagine in Jpg è identico e ha lo stesso valore dell'originale. Cioè, più o meno, zero. Il tema del diritto d'autore non è certo estraneo ai contenuti digitali. Ma è molto nebuloso (vedi l'esempio del meme) o irregimentato da grandi piattaforme per la distribuzione di video e musica.
Per un compratore o per un artista (che sia un fumettista, un musicista o un creatore digitale), il certificato su Blockchain assicura la titolarità dell'opera. Asset come gif, meme, video e persino tweet diventano unici, replicabili ma non sostituibili. Quindi vendibili.
In teoria, gli Nft potrebbero diventare strumenti per monetizzare qualcosa che oggi non ha alcun valore in diversi modi. Il più immediato è, appunto, vendere. Un altro potrebbe essere legato agli incassi futuri, dilazionati nel tempo: l'autore, ad esempio, grazie agli smart contract (contratti su Blochckain le cui clausole possono scattare in automatico al verificarsi di alcune condizioni prestabilite) potrebbe incassare una percentuale del prezzo di vendita, ogni volta che l'Nft passa di mano.
La differenza tra un Nft e un Picasso
Comprare un Ntf non è, però, come comprare un Picasso. Il concetto di proprietà resta più sfumato rispetto a quello di una tela. Chi acquisisce un Nft non avrà accesso esclusivo all'opera perché un contenuto originale potrà sempre essere replicato e pubblicato online senza differenze apprezzabili (fare un copia incolla è più semplice che replicare Guernica). Di fatto, quindi, non si è il proprietario dell'opera ma si detiene il suo certificato di autenticità. O, come dice Ethereum, la piattaforma su cui girano gli Ntf, “l’autentico verificabile” (the verifiably real thing).
Nell'arte analogica, questo concetto è meno sfumato: se ho comprato all'asta un Picasso autentico, è mio. Anche se ci sono falsari e stampe senza diritti. Anche se lo cedo momentaneamente a un museo per una mostra. Eppure, anche l'arte analogica ha meccanismi simili. Basti pensare alla provocatoria banana incerottata di Maurizio Cattelan: replicabile ed effimera, ma valutata 120 mila euro.
Dai crypto-gattini a Christie's
Se si guarda a Picasso, quindi, l'arte gestita tramite Nft sembra di un altro universo. Se si guarda a Cattelan, siamo quantomeno sullo stesso pianeta. Lo scorso 11 marzo, Christie's ha battuto all'asta “Everydays — The First 5000 Days”, un gigantesco file Jpeg firmato da Beeple. Prezzo: poco meno di 69,3 milioni di dollari, pagati in Ehter. Per avere un'idea della cifra: solo due opere di un artista vivente (“Coniglio” di Jeff Koons e “Ritratto di un artista” di David Hockney) sono state attute a un prezzo superiore.
E pensare che all'inizio si parlava di Nft a proposito di gattini: dal 2017 ha preso piede un gioco, CryptoKitties. Scopo: comprare, scambiare e collezionare su Blockchain gattini di razze diverse. Gli Nft, come un pedigree, danno unicità (e valore) a ogni micio.
Quanto vale (e chi sta spingendo) il mercato
Dai crypto-gattini, il mercato è cresciuto parecchio, anche grazie al supporto di alcuni grandi nomi delle tecnologia. Peter Thiel, il papà di Paypal, ha investito in OpenSea, il più grande mercato per lo scambio di Nft. Sul suo principale concorrente, Nifty Gateway, hanno puntato invece i gemelli Wiklevoss (quelli che hanno fatto causa a Zuckerberg per aver plagiato Facebook), tra i primi a investire in Bitcoin e oggi miliardari proprietari di Gemini, piattaforma per lo scambio di criptovalute. Elon Musk ha pubblicato e messo in vendita l'Nft di una canzone (che parla di Nft). Il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, ha venduto il suo primo cinguettio per 2,9 milioni di dollari (che devolverà in beneficienza). Mark Cuban, proprietario della franchigia Nba dei Dallas Mavericks, aprirà una galleria d'arte digitale, esponendo Nft. La star di Youtube Logan Paul ha venduto per 5 milioni di dollari un'immagine che lo ritrae in versione anime.
Ai tempi dei gattini digitali, il mercato degli Nft valeva circa 42 milioni di dollari. Secondo un report di Nonfungible.com e L’Atelier BNP Paribas, nel solo 2020 ha mosso 250 milioni di dollari. Poca cosa rispetto all'inizio del 2021, che viaggia verso i 400 milioni in meno di tre mesi.
Speculazione o rivoluzione?
Per i suoi sostenitori, l'Nft è molto più di un certificato. E il mondo dell'arte digitale è solo il primo passo. Potrebbe, almeno in teoria, essere applicato anche alle opere fisiche. O anche a oggetti che con l'arte non hanno nulla a che fare: auto, case o persino garanzia per ottenere un prestito.
Sempre in teoria, gli Nft potrebbero permettere di frazionare la titolarità di un'opera. Una sorta di certificato diviso in quote che consente di vantare diritti su “un pezzo” di meme o su un frammento di Picasso (incassando in proporzione da un'eventuale vendita o da altri sistemi di remunerazione). Ethereum immagina, a proposito, la costituzione di Dao (Decentralised autonomous organisation, Organizzazioni autonome decentralizzate) dedicate alla gestione degli asset.
L'obiettivo ultimo, quindi, andrebbe molto oltre la vendita di Jpeg. Gli Nft punterebbero alla democratizzazione dell'arte e, più in generale, a una gestione decentralizzate e disintermediata degli scambi di beni non fungibili. Un po' lo stesso proposito dei Bitcoin, nati per sostituire con la tecnologia enti terzi.
Proprio la cryptovaluta di Satoshi Nakamoto, però, consiglia di andarci piano. Il Bitcoin ha innescato cambiamenti notevoli, spingendo istituzioni e società private a esplorare le valute digitali (più o meno decentralizzate). Ha aperto a innumerevoli applicazioni della Blockchain (più o meno concrete). Ha raggiunto valori notevoli, ma non è riuscito a imporsi come alternativa monetaria credibile: non si compra il gelato in Bitcoin. È un asset, certo. Ma rientra nell'alveo della speculazione, dell'investimento o della rivoluzione? Una domanda che si pone, pari pari, per gli Nft.