AGI - Il prosciutto di Parma perde il 30%, la mozzarella di bufala non se la passa meglio e nei mesi acuti della pandemia ha toccato picchi negativi anche del -60%, il settore italiano del vino perde un 25% sul fatturato 2019, più o meno 2 miliardi di euro, e l’ittico va giù del 50%, nonostante il Natale.
Effetti collaterali del coronavirus e dello “stop and go” imposto ai ristoranti dall’inizio dell’emergenza a oggi. La chiusura della ristorazione, infatti, è costata in questo 2020, secondo gli ultimi dati Ismea, circa 43 miliardi in meno di consumi di eccellenze alimentari italiane, non compensati dall’aumento, che resta solo parziale, delle vendite al dettaglio che hanno prodotto circa 13 miliardi, arrivando così a produrre un saldo netto negativo di oltre 30 miliardi.
Gli ultimi dati diffusi da Coldiretti/Filiera Italia, poi, parlano di una perdita di mezzo miliardo di euro solo in relazione al tradizionale veglione di Capodanno. “Il vino è stato sicuramente uno dei prodotti più colpiti - commenta Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, la fondazione che tiene insieme il meglio del Made in Italy agroalimentare - Sono i vini di maggior valore ad averne risentito maggiormente considerando che il consumo del vino nella ristorazione rimane concentrato soprattutto a cena quando i ristoranti sono ancora incomprensibilmente chiusi anche nelle regioni gialle, quindi a basso rischio”.
E, prosegue Scordamagli,a “ Il blocco del canale dell’horeca ha lasciato le grandi eccellenze alimentari - vino certo, ma anche formaggi, salumi - senza un adeguato canale di valorizzazione, pensare che sia un bene trovare prodotti di grande qualità, sugli scaffali dei discount è un errore, è l’anticamera del fallimento: stiamo svendendo il Made in Italy”. Insomma non è tutto oro quello che luccica, la caduta libera dei prezzi di grandi prodotti della tradizione italiana non fa bene a nessuno. “È anche per questo - continuano da Filiera Italia- che l’intera filiera agroalimentare italiana, compresa una parte rilevante della distribuzione, è alleata nel contrasto alle pratiche commerciali sleali la cui normativa è oggi in discussione in Parlamento”.
Senza contare che ci sono prodotti che più di altri, come ad esempio il tartufo, vedono nell’horeca il loro principale canale di distribuzione. “Pensare che alimenti di alto valore aggiunto come quelli citati possano essere svenduti al di fuori del canale della ristorazione diventando improvvisamente più accessibili al consumatore a prezzi spesso inferiori agli stessi costi di produzione - dice ancora Scordamaglia - è ovviamente sbagliato. I sottocosto e le promozioni “imposte” in alcuni canali ne mortificano non solo la qualità, ma anche il valore e il lavoro dell’intera filiera rendendone insostenibile la produzione”.
Un guaio quindi per tutto il comparto alimentare italiano che oggi resiste strenuamente, restando primo settore del Paese, con un fatturato (considerandolo integralmente dalla produzione agricola alla ristorazione), di 538 miliardi di euro pari al 25% del Pil nazionale, e un export ancora in positivo nonostante l’annus horribilis dell’economia mondiale. Cosa dobbiamo allora aspettarci per il futuro? Da quello che si intuisce analizzando la situazione con gli esperti del settore, il calo dei prezzi delle eccellenze non è garanzia di cene casalinghe da nababbi a buon mercato, anzi “Se la situazione perdurasse - avverte Scordamaglia - l’unico effetto sicuro sarebbe in primo luogo la chiusura di molte aziende produttrici di eccellenze a cominciare soprattutto da quelle più piccole, una condizione che a lungo andare porterebbe a una riduzione della qualità del prodotto, con un danno irreversibile all’immagine delle eccellenze premium del Made in Italy”.
Ora siamo a un punto di svolta, dobbiamo capire cosa accadrà al canale della ristorazione allo scadere di questo Dpcm. Secondo Scordamaglia “L’unico modo per arginare questa deriva è riaprire in totale sicurezza il canale della ristorazione estendendo, per le zone che torneranno ad essere gialle, anche a cena gli orari di apertura”.
Per il settore tutti gli sforzi fatti con i vari decreti non potranno mai essere sufficienti a compensare le perdite subite dalla filiera agroalimentare. Per Filiera Italia “solo il ritorno alla piena valorizzazione che il canale della ristorazione offre alle nostre eccellenze può garantire nel futuro la produzione ed il mantenimento degli standard qualitativi che le hanno rese famose al mondo”.