AGI - Di seguito l'intervista che Cesare Romiti rilasciò al direttore Mario Sechi il 25 gennaio 2003 per 'Il Giornale', all'indomani della scomparsa dell'avvocato Gianni Agnelli.
«Venticinque anni insieme...», dalla voce di Cesare Romiti emergono il passato e il presente, la gioia e il dolore, l'oggi e l’ieri - senza più un «domani» - che si incontrano nell'addio all'Avvocato. Agnelli e Romiti sono stati il motore della Fiat e del capitalismo italiano per un tempo che sembrava non dovesse mai finire. Romiti fa il suo ingresso in Fiat nel 1974, viene dipinto come il «proconsole di Cuccia». Due anni dopo, insieme a Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, fa parte del triumvirato che regge le sorti della Fiat in anni difficili. Ma l'Ingegnere si eclissa rapidamente, Romiti nel 1980 diventa amministratore unico della Fiat e affronta con Agnelli lo scontro sindacale più drammatico del dopoguerra: Fiat annuncia 14mila licenziamenti, piovono sulla più grande industria del Paese 35 giorni di sciopero, si teme per il futuro dell’azienda. Poi succede qualcosa che diventa storia: «La marcia dei quarantamila», i dirigenti del gruppo torinese che scendono in piazza contro il sindacato.
È la vittoria della coppia Agnelli-Romiti che trova la forza e la fantasia per rilanciare l'auto, internazionalizzare l'azienda, portare a casa i marchi Lancia e Alfa Romeo. Una lunga marcia che sembra inarrestabile. Francesco Cossiga nomina Agnelli senatore a vita e nel 1996 l’Avvocato cede lo scettro della presidenza a Romiti. Tre anni dopo, fulminea, la separazione: Agnelli continua a guidare la Fiat, Romiti va al timone della Rcs e del Corriere della Sera.
«Ci fu una riunione, lui disse parole di grande stima. Era commosso e io più di lui», ricorda. Oggi, il capitolo finale dell’ormai annunciato long goodbye, il lungo addio dell’Avvocato.
Presidente Romiti, per l'avvocato Agnelli è arrivata quella che Osvaldo Soriano chiama l'ora senz'ombra... «Per me oggi... è un giorno difficile...». Il tandem Agnelli-Romiti è stato per venticinque anni il motore della Fiat.
Che cosa ricorda di quel sodalizio?
«Venticinque anni insieme non si possono ridurre a uno specifico episodio. Per me è difficile in questo momento raccontare un singolo istante della nostra storia. Voglio però ricordarne uno, uno solo che forse dice tutto dell'Avvocato. Quando il Lingotto fu trasformato, noi avevamo ancora gli uffici in Corso Marconi, e un giorno lui, ricordando quando andava con il nonno al Lingotto, mi disse: “Romiti, ma perché non ci trasferiamo là?”. Io eccepii che avevamo speso molto e spendere ancora mi dava qualche preoccupazione. Poi tornai da lui e gli dissi: torniamo al Lingotto. Era il posto dove Agnelli andava col nonno che prima di entrare vuotava il tabacco della pipa scuotendola sulla suola della scarpa. Diceva che in ufficio non si fuma, non si fuma per rispetto agli altri».
Un aggettivo per definire l'Avvocato?
«Io credo che non si debbano mai adoperare aggettivi roboanti, ma per Agnelli bisogna usare l’aggettivo “straordinario”. È stato un uomo che nella sua storia ha sovrastato un po’ tutti gli altri».
Avete litigato qualche volta?
«Oh sì, abbiamo vissuto insieme anche momenti turbinosi e difficili».
Qual è stato il passaggio più critico?
«Ah, il momento più difficile fu senza dubbio durante gli scioperi che nel 1980 bloccarono per 35 giorni gli stabilimenti della Fiat. C'era uno scontro durissimo con il sindacato, poi arrivò la marcia dei quarantamila. Fu una svolta per la storia del nostro Paese e per Agnelli la liberazione da un incubo».
Agnelli fu un presidente-padrone o un industriale illuminato? Lei si è mai sentito solo?
«Agnelli è sempre stato dietro di me, appoggiandomi e dandomi protezione quando era il momento. È stato davvero un presidente esemplare, unico. Mi dava sostegno e appoggio in tutte le mie azioni. Sono stato al suo fianco per venticinque anni e in venticinque anni Agnelli è stata la persona che più ho visto e io sono stato la persona che lui più ha visto. Il nostro era un rapporto quotidiano, intenso, indimenticabile. Non c'era giorno che non ci scambiassimo idee, opinioni, suggerimenti».
Lei nel 1999 lascia la Fiat e chiude un'era. Con il dopo Romiti si apre la crisi dell'auto. Esisteva nella mente di Agnelli una Fiat senza l'automobile?
«No. L'auto per Agnelli era la vita stessa. Immaginare la Fiat senza l'automobile per lui era impossibile».
Cosa sa dell'Agnelli che nel finale di partita ha visto il suo impero vacillare?
«So del suo tormento in quest'ultimo anno di crisi dell'azienda. Non poteva intervenire per questioni di salute, credo abbia sofferto quello che non avrebbe dovuto soffrire un uomo come lui, per tutto quello che aveva dato alla vita e alla Fiat. Spero davvero e mi auguro che chi oggi ha la responsabilità di Fiat se ne ricordi per sempre».
Ha ammirato di più il manager o l'uomo?
«Tutti e due. Ma io, ora, voglio ricordarmi di lui soprattutto come uomo. Aveva intelligenza, curiosità, ironia, signorilità, ottimismo. Conservo nel mio cuore e nella mia mente il suo sorriso... era la testimonianza della stima per la persona che gli stava di fronte, una gratificazione per l'interlocutore stesso».
Agnelli è la Vecchia Signora di Platini, lei è la Magica di Falcao. Roma-Juventus, le epiche sfide degli anni Ottanta. Lei ha mai tradito i giallorossi per le maglie bianconere?
«In quegli anni mi ero innamorato pure io di quella Juventus, di quegli uomini che ancora oggi mi telefonano da Platini a Tardelli a Zoff. Ci fu un periodo, quando capita a un uomo, che ci si dimentica per un momento della moglie e ci si innamora dell'amante. Ecco per me quella Juve è stata un'amante. Poi sono tornato dalla moglie, come capita a tutti i bravi mariti».
Scorrono i titoli di coda, cosa si può aggiungere al finale?
«Niente, Agnelli mi mancherà molto nella vita».