La palla passa da Francoforte a Bruxelles. Sia metaforicamente ma anche concretamente. A porgerla è stata oggi il presidente della Bce Christine Lagarde alla tedesca Ursula von der Leyen. Il sottotitolo delle dichiarazioni di Lagarde e delle decisioni del consiglio direttivo della Bce, infatti, è proprio questo: ora tocca alle istituzioni europee darsi da fare e prendere le misure che consentano all'Europa di riprendersi dalla terribile botta che è stato il coronavirus.
La Bce, il suo, l'ha fatto da marzo a oggi. Ha confermato il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), il piano di acquisti titoli antipandemico da 1.350 miliardi di euro fino a giugno 2021. Piano che va contro anche contro le ortodossie di Francoforte e che ha fatto venire il mal di stomaco a molti componenti del Bundestag.
In questo senso, Lagarde ha ribadito chiaramente che il capital key "è il benchmark, ma la flessibilità nel tempo e tra i vari asset da acquistare differenzia il Pepp dagli altri programmi di acquisto". "La flessibilità è la caratteristica principale del programma" pandemico.
Per capire, il capital key è la quota che ogni banca centrale detiene nella Bce e in base alla quale l'Eurotower procede con gli acquisti degli asset. Per il Pepp i capital key sono stati derogati. Tanto che il presidente Bce ha citato in conferenza stampa esplicitamente l'Italia che ha beneficiato di tale deroga.
"Ci sono state deviazioni: Paesi come Italia, la Germania anche se di meno, il Portogallo sono al di sopra della capital key", ha osservato. "Non permetteremo che la convergenza verso il capital key indebolisca l'efficacia" delle misure della banca centrale.
Un messaggio chiaro ai cultori della convenzionalità e dell'ortodossia dell'azione della Banca centrale europea (vedi Corte costituzionale tedesca). Dopo aver elencato quanto fatto dall'Eurotower, Lagarde è passata a elencare quello che gli altri devono fare. Il Recovery Fund "deve essere approvato il prima possibile" perché "è importante per la ripresa" e dev'essere "veloce, flessibile e consistente".
I "negoziati a Bruxelles - ha aggiunto Lagarde - richiedono tempo e possono essere difficili ma i leader europei sono ben coscienti dell'importanza di non perdere tempo e di dare un segnale che l'Unione può affrontare la ripresa insieme". Un passaggio di testimone, come detto, in una ipotetica staffetta con von der Leyen e con i capi di stato e di governo che da domani, per la prima volta di persona dopo il lockdown, si riuniranno a Bruxelles.
Un invito a correre, se non più forte della banca centrale almeno alla stessa velocità, perché è una gara che non si può perdere. E proprio di "rush finale" ha parlato il premier Giuseppe Conte che stasera alle 20,30 incontrerà il presidente francese Emmanuel Macron a Bruxelles per preparare la strategia comune da opporre ai cosiddetti paesi 'frugali' (Olanda Austria Danimarca e Svezia) che vogliono ridurre i 750 miliardi di euro del Revovery fund.
Ma oltre alla difesa dei fondi (i frugali vorrebbero ridurre la parte di sussidi da 500 a 400 miliardi), Conte cercherà il sostegno di Macron per evitare che vi sia il potere di veto sui piani di rilancio nazionali dei paesi del Nord (Olanda in primis). Una condizione, questa sì, davvero grande, che - se dovesse passare - costringerebbe il premier a dover chiedere l'utilizzo del Mes con tutti i rischi per la tenuta del governo che una cosa del genere comporterebbe.