Un default da oltre 19 miliardi di euro. E' la previsione di alcuni analisti finanziari in caso scattasse la revoca della concessione ad Aspi e che giustificano così il crollo del titolo Atlantia in Borsa. In caso di revoca, l'effetto per Autostrade per l'Italia sarebbe quello di un immediato fallimento della società. Mancherebbero infatti, a causa dell'art. 35 del Decreto Milleproroghe (D.L. 162/2019), le risorse per il ripagamento di quasi 10 miliardi di debito complessivo. A catena l'impatto si ripercuoterebbe sul ripagamento di 9 miliardi di euro di debito di Atlantia (che controlla l'88% del capitale di Autostrade per l'Italia ed è garante inoltre di circa 5 miliardi di debito della controllata).
Le conseguenze sui mercati
L'ammontare di debito complessivo in default (oltre 19 miliardi) avrebbe serie conseguenze sui mercati obbligazionari e bancari europei visto che la maggior parte del debito è rappresentato da titoli quotati detenuti da grandi investitori di debito internazionali, oltre che da grandi istituzioni finanziarie europee ( Banca Europea per gli Investimenti) e italiane (Cassa Depositi e Prestiti, Banca Intesa, Unicredit,), oggetto anche di prestiti LTRO della Banca Centrale Europea. Peraltro Autostrade per l'Italia ha anche emesso un prestito obbligazionario retail (per 750 milioni) detenuto da circa 17.000 piccoli risparmiatori italiani. Verrebbe così distrutto uno dei pochi gruppi italiani leader nel mondo, presente il 24 paesi.
Il capitale della società è detenuto anche da grandi investitori esteri
Inoltre il capitale di Autostrade per l'Italia è detenuto da grandi investitori internazionali, come il gruppo assicurativo Allianz (7% del capitale assieme ai suoi partner), nonché il fondo sovrano cinese Silk Road Fund (5% del capitale), oltre che da Atlantia, società fra le "blue chips" della Borsa Italiana che conta oltre 40.000 azionisti, fra cui il fondo sovrano di Singapore GIC (8,1% del capitale), la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (4,8% del capitale) e i maggiori investitori istituzionali internazionali del mondo (prevalentemente società di gestione di USA, Gran Bretagna, Francia, Germania e Australia) e i risparmiatori italiani. Uno scenario che creerebbe un precedente unico, scoraggiando totalmente ogni nuovo investimento estero in Italia.