AGI - A marzo e aprile sono andati persi 400 mila occupati: se non si agisce sulla domanda l'Italia rischia un ciclo recessivo di lunga durata. Questa la convinzione di Sebastiano Fadda, presidente Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), secondo cui i più esposti sono i lavoratori a termine e le donne. Il mercato del lavoro - spiega Fadda all'AGI - subirà un cambiamento strutturale e questo richiede adeguate misure di politica attiva del lavoro e di formazione.
Sono diminuiti gli occupati
"I dati in nostro possesso riferiti al mese di aprile - sottolinea Fadda - rivelano che il numero di occupati è diminuito di ulteriori 274 mila unità che, aggiunte alle 124 mila unità perse nel mese di marzo, porta il bilancio dell'occupazione persa nel corso dell'emergenza sanitaria a circa 400 mila occupati in meno in due soli mesi".
La crisi affonda le radici sul terreno dell'offerta
"Perché le dismissioni di personale vengano rapidamente riassorbite è necessario, ma non è sufficiente, che sia salvaguardata la domanda di beni e servizi da parte di famiglie e imprese, evitando una riduzione strutturale del reddito disponibile, che se prolungata fino all'autunno rischierebbe di avviare un ciclo recessivo di lunga durata. Tuttavia questo non è sufficiente, perché la attuale crisi affonda le radici sul terreno dell’offerta: dal blocco forzato delle attività produttive è infatti originata la crisi occupazionale e reddituale. Dovrà essere quindi la riapertura delle attività produttive a rilanciare quella spirale virtuosa per cui, in questo caso, sarà l’offerta a creare la successiva espansione della domanda, sulla base dell’iniziale sostegno pubblico al reddito disponibile. Discorso diverso e più complesso per la domanda estera: l'Italia è un paese con una spiccata vocazione all'esportazione. Occorrerà verificare - fa notare il presidente dell'Inapp - in che misura il nostro paese potrà mantenere le quote di mercato pre-covid nel contesto internazionale, dove la pandemia ha agito diversamente e con tempi differenti, modificando in modo ancora difficile da prevedere la domanda estera".
Più a rischio lavoratori a termine
Secondo Fadda, i più esposti a rischio disoccupazione sono i lavoratori non standard, almeno 4 milioni e 687 mila individui con contratti a termine.
"L'occupazione a termine, che già dal mese di marzo ha fatto registrare una flessione preoccupante - spiega - conferma nel mese di aprile una diminuzione marcata, con ulteriore perdita di 130 mila occupati; il calo complessivo nel bimestre marzo-aprile ha raggiunto le 270 mila unità, vale a dire poco meno del 70% dell'intero calo occupazionale. I lavoratori temporanei, sia con contratti di lavoro subordinato a termine che con altre forme di lavoro non-standard sono generalmente più esposti a crisi di natura esogena e congiunturale".
"Nel caso dell'emergenza sanitaria la perdita del lavoro di occupati temporanei rafforza la necessità di tutela del reddito di una quota importante della popolazione, sostenuta in misura minore rispetto agli occupati dipendenti a tempo indeterminato dai provvedimenti di sostegno varati nel corso delle diverse fasi del lockdown (come la cassa integrazione in deroga, erogata in continuità del rapporto di lavoro, e il divieto di licenziamento). I contratti a termine si sono interrotti per naturale scadenza dei termini e non usufruiscono delle misure per i rapporti di lavoro rimasti attivi, così come non sono sottoposti, per lo stesso motivo, al divieto di licenziamento".
La ripresa non sarà uniforme
Si pone quindi il problema di come intervenire per la tutela di queste persone ora e nel futuro: "Il riassorbimento di tali lavoratori - osserva il presidente dell'Inapp - più che dalle misure di natura giuridica relative alla 'causalità' o altro, dipenderà dalle prospettive di solidità della ripresa alimentate da positivi sbocchi di mercato. Ma non illudiamoci: questa ripresa non sarà uniforme o equiproporzionale in tutti i settori. Ci sarà un cambiamento strutturale, e questo richiede adeguate misure di politica attiva del lavoro per sostenere la transizione dei lavoratori da un settore all’altro anche attraverso efficaci interventi di formazione di nuove competenze e nuove abilità professionali".
Le donne stanno soffrendo di più la crisi
In questa situazione molto critica, l'allarme giunto da più parti è per le donne, che rischiano di pagare il conto più pesante della crisi: "La flessione della componente femminile dell'occupazione è stata nei due mesi di lockdown, quasi doppia rispetto a quella maschile (-1,5% contro -0,8%, rispettivamente nel periodo marzo-aprile 2020 rispetto al mese di febbraio). Va sottolineato che si registra un fenomeno opposto a quanto osservato nel corso delle due fasi recessiva del 2009-2013. In quell'occasione la componente maschile subì una diminuzione pari al 6,5%, a fronte di una sostanziale stabilità delle donne occupate (+0,15%). Se la tenuta dell'occupazione femminile nel periodo 2009-2013 fu dovuta alla marcata eterogeneità settoriale della crisi, nel caso del blocco dovuto alla pandemia sono state le donne a soffrire le conseguenze più gravi del lockdown, che ha colpito, seppure indirettamente, un segmento dell'occupazione già caratterizzato da elevate disparità, sia nel tasso di occupazione che nei livelli salariali e nella necessità di conciliare lavoro retribuito e carichi di cura familiare. Questo si spiega, probabilmente con il più basso tasso medio di “svolgibilità da remoto” delle posizioni lavorative femminili".
L'Inapp - riferisce Fadda - ha lanciato una iniziativa per conoscere gli elementi critici sperimentati da uomini e donne nella fase di chiusura delle attività e nello svolgimento del lavoro dalle proprie abitazioni: 'Il lavoro di uomini e donne in tempo di Covid-19. Una prospettiva di genere'. Il progetto intende verificare alcuni elementi già scaturiti dalla narrazione dei contesti familiari durante la crisi, che spesso hanno visto le donne svolgere il proprio lavoro da remoto contemporaneamente ai carichi di cura familiare".
Più esposte le piccole imprese
La crisi che si prospetta in autunno non colpirà in modo uguale tutti i settori così come la ripresa potrebbe concentrarsi solo in alcune produzioni.
"Le piccole imprese - argomenta Fadda - in genere sono state coinvolte in misura maggiore dal lockdown e dal conseguente arresto del flusso di incassi e fatturato. Queste hanno minori capacità rispetto alle più grandi aziende di sostenere un così lungo periodo di blocco delle attività, specialmente quelle che operano grazie alla liquidità giornaliera, come gli esercizi commerciali e le attività di alloggio e ristorazione. Queste hanno anche generalmente minori possibilità di adeguare i processi produttivi allo smart working".
Investire in sanità, energia, informatica, manutenzione
Secondo il presidente dell'Inapp, "la grande sfida sarà quella di rendere, con politiche industriali adeguate, il sistema così flessibile da sfruttare al massimo e con prontezza le potenzialità di sviluppo che si aprono per alcuni settori in cui dovranno concentrarsi i maggiori investimenti sia pubblici che privati, come per esempio, il settore della sanità, il settore delle nuove fonti di energia, il settore della infrastrutturazione informatica, il settore della manutenzione del territorio e del risanamento urbano, il settore della logistica, il settore della ricerca in genere, e così via; ma anche l’area delle piccole imprese capaci di inserirsi nelle catene di valore di dimensione più ampia e internazionale, oppure capaci di riorganizzarsi e operare nelle numerose nicchie di qualità che si possono manifestare con la crescita della domanda".
Puntare sul 'reshoring'
"Non dimentichiamoci infine - conclude Fadda - che l’adozione di nuove tecnologie generatrici di elevata crescita della produttività del lavoro può anche condurre ad un processo di “reshoring” dai paesi in passato destinatari di delocalizzazione. Sulla capacità di cogliere con grande capacità operative queste prospettive si gioca la qualità del nostro sistema imprenditoriale e delle scelte di politica economica".