“La domanda da farsi non è solo come ripartire nei prossimi giorni. E’ anche cosa vogliamo che ci sia nel futuro dell’Italia, nei prossimi mesi e prossimi anni. Vogliamo più investimenti nella sanità o meno?
Vogliamo più farmaceutica o meno? Vogliamo più diagnostica o meno? Non si possono dare risposte incoerenti a queste domande. Se la risposta è sì, bisogna dare a imprese ed amministrazioni pubbliche segnali chiari e non sconfessati alla prima finanziaria, quando si presentano forti le tentazioni di sacrificare le strategie sull’altare delle mance elettorali.
Se la risposta è sì, ci deve essere poi una coerenza tra scelte dello Stato e comportamenti delle regioni.
I virus, i batteri e le altre malattie non sono interessati a confini e partiti”. Così in un’intervista all’Agi, l'azionista e membro del Cda Lucia Aleotti, che insieme al fratello Giovanni, ha guidato la multinazionale del farmaco Menarini oltre gli orizzonti geografici dell’Italia.
Ad oggi il Gruppo Menarini di Firenze ha un fatturato che supera i 3.6 miliardi di euro, 17.600 dipendenti nel mondo (di cui 3500 in Italia), 16 stabilimenti produttivi e 7 Centri di Ricerca.
"Immaginare come potrà essere la ripresa dopo il lungo lockdown di questo inizio primavera – aggiunge la Aleotti - non è facile. Il virus non è stato estirpato e dovremo essere molto cauti per non causare una nuova fase drammatica.
Le cautele che dovremo prendere saranno molte, e cambieranno sicuramente il nostro modo non solo di lavorare, ma anche di rapportarci nel nostro spazio sociale”.
“Mentre noi sicuramente cambieremo i nostri comportamenti, sarà interessante vedere se cambierà la politica industriale. Se cioè si aprirà una riflessione sull'economia e le strutture industriali. In altri termini, l'esserci trovati scoperti ed impreparati davanti alla necessità di certi presidi salvavita, con una produzione interamente delegata ad altri Paesi, sarà motivo di riflessione strategica e di azioni consequenziali? Ci siamo trovati senza respiratori, senza presidi medici.
Siamo nell’impossibilità di eseguire tamponi di massa per la difficoltà a reperire reagenti diagnostici. Viceversa non abbiamo mai avuto problemi nella fornitura di farmaci ai nostri pazienti, se non in alcuni casi.
Qual è la differenza? Per qualche anno, in tempi recenti, il settore farmaceutico è stato ritenuto molto più strategico rispetto al passato. Sono stati introdotti fondi aggiuntivi per l’acquisto di farmaci innovativi".
"Si è data stabilità - aggiunge - interrompendo la pratica malsana di tagliare continuamente prezzi e rimborsi dei farmaci – cioè i ricavi del settore - per coprire spese dei generi più disparati. Questa stabilità ha fatto sì che imprenditori italiani e multinazionali abbiano scelto l’Italia per investire nella produzione farmaceutica, facendo dell’Italia il primo Paese europeo per la produzione di questo bene essenziale per la salute, con oltre 30 miliardi di euro di produzione annua.
E’ anche grazie a questa scelta lungimirante se oggi praticamente nessuno di noi ha dovuto preoccuparsi di non trovare il proprio farmaco in farmacia. Ci sono alcune eccezioni, ovviamente: ove le necessità terapeutiche sono esplose e le capacità produttive non riescono a compensare.
Ma il sistema farmaceutico ha tenuto benissimo, e insieme alla tutela dei pazienti ha garantito anche un pezzetto di economia che non è stata obbligata a fermarsi, che ha continuato a pagare gli stipendi e i contributi che alimentano il nostro sistema pensionistico.
Il nostro sistema sanitario e farmaceutico possono essere non solo strumento di salute, ma anche volano di occupazione e di ripresa economica.
La tragedia del coronavirus ci ha fatto capire che solo guardare alla spending review può allontanare dal nostro Paese presidi vitali. Cominciamo a parlare di industrial review. Il successo nella farmaceutica, se mantenuto, ci dice che si può fare.