Le imprese lombarde ‘scalpitano’ per far ripartire la produzione il prima possibile. In attesa delle nuove misure del governo, sono migliaia le aziende della Lombardia che hanno chiesto alle prefetture deroghe per rimettere in moto i macchinari. Oltre 6.000 solo nell'epicentro dell'epidemia, tra Bergamo e Brescia.
A queste imprese si aggiungono le 3.300 che a Padova hanno presentato in Prefettura la richiesta di revoca del blocco sostenendo di occuparsi di attività essenziali. A confermarlo è la Cgil di Padova. "Sono evidentemente tante quelle che partecipano a questa corsa per ripartire a tutti i costi - ha spiegato il segretario della Cgil di Padova, Aldo Marturano - noi chiediamo molta cautela".
Lombardia
Le richieste per riavviare la produzione sono state effettuate in accordo con i dipendenti o, comunque, predisponendo tutte le iniziative per garantire la sicurezza del personale sul posto di lavoro. Un problema sul quale vigilano i sindacati che chiedono ai prefetti controlli ferrei sulle richieste già avanzate o in arrivo. A Brescia, secondo i dati forniti dalla Cgil all’AGI, sono già “pervenute per adesso 4.300 richieste di deroga al prefetto, che ne ha analizzate circa 500”.
Al di là delle singole domande, l’Aib (l’Associazione Industriale Bresciana) fa sapere che è stato allestito “un tavolo con la prefettura per definire le modalità sulla riapertura delle attività” e che “non dovrebbe mancare moltissimo” perché vengano predisposti i provvedimenti del caso e si “definiscano i criteri per riprendere la produzione”. Pertanto, sottolineano dall’Aib, la cifra delle 4.300 richieste di apertura in un certo senso “è superata” dal tavolo di confronto deputato a definire “le modalità stesse della ripresa dell’attività”.
Da questo punto di vista, si segnala in prospettiva l’iniziativa degli Spedali Civili di Brescia e della Fondazione Poliambulanza che si sono messe a disposizione per trovare un accordo con gli industriali che possa garantire la sicurezza degli operai che torneranno al lavoro: si ipotizza una serie di test per i dipendenti che, nel rispetto della privacy, diano garanzie per la sicurezza dei lavoratori.
Diverse anche le aziende brianzole in riapertura, segnalate all’AGI sempre dalla Cgil Lombardia: si va dalla Beta Utensili di Sovico alla Farid Industrie di Besana Brianza, dalla Lima Eusider di Desio alla Eurotubi di Nova Milanese, fino alla Peg Perego di Arcore. Queste cinque aziende – secondo la Fiom Cgil di Monza e Brianza – hanno “scritto su Whatsapp ai propri dipendenti chiedendo di tornare immediatamente in azienda".
Una sollecitazione motivata col fatto che "era stata richiesta una deroga alla prefettura" in quanto si tratta di aziende "attive in settori ritenuti strategici dal Decreto varato dalla presidenza del consiglio" ventilando - sempre secondo quanto riferisce il sindacato - la possibilità di "inserirsi in una falla stessa del decreto”.
In attesa che la prefettura valuti caso per caso, “gli operai si stanno adeguando in maniera autonoma, alcuni andando a lavoro, altri mettendosi in ferie, nel timore che non siano garantite le necessarie misura di sicurezza”, dice all’AGI Pietro Occhiuto, della Fiom Cgil di Monza e Brianza, specificando che “nessuna di queste aziende brianzole svolgono un’attività ritenuta essenziale nel Decreto”.
A Bergamo, la provincia più martoriata dall’emergenza coronavirus, sono poco meno di 2.000 le richieste arrivate dalle imprese per poter lavorare, di queste 537 sono state già vagliate dalla prefettura. Cifre che allarmano la Cisl, per la quale “un numero così alto di autorizzazioni per il prosieguo delle attività non è giustificato”. Secondo il sindacato, probabilmente “non tutte queste imprese hanno attività legate a servizi indispensabili”.
A mettere tutti in guardia, e soprattutto il governo alle prese con la decisione di come rimettere in moto l’economia italiana, ci pensa Emanuele Orsini, presidente di FederlegnoArredo, un comparto particolarmente vitale della Lombardia, la locomotiva del Paese: “Vorrei dire chiaramente a chi sta prendendo ora le decisioni che se il loro timore è fare debito pubblico, cosa che fra le altre cose stanno facendo tutti i Paesi, pensino che se mandano le aziende in default non ci sarà più nessuno che paga i costi dello Stato. Quindi prima falliranno le aziende, ma poi fallirà lo Stato. Pensateci, è nel nostro e vostro interesse”, ha ammonito Orsini.
Veneto
In questa regione "nessuno - sottolinea il segretario della Cgil di Padova - vuole che le aziende restino chiuse ma sono poco convinto che abbiano questa necessità impellente di una riapertura, soprattutto se considerata la mancanza di un export e la difficoltà di trovare materie prime e componenti". "Io ho la sensazione che siamo di fronte al tipico modello veneto fatto di lavoro, lavoro, lavoro - conclude Marturano - il numero di addetti medio nel padovano è poco più di 3. Allora facciamo che questa crisi invece che farci correre e accelerare ci serva anche per ripensare un modello economico".