Dopo le polemiche seguite all'annuncio di 8 mila esuberi a livello di gruppo entro il 2023, orizzonte del nuovo piano presentato lo scorso dicembre, Unicredit entra nel dettaglio di ciò che vuole fare su questo fronte in Italia. In vista del confronto con i sindacati, che dovrebbe avviarsi venerdì 14 febbraio, la banca ha scritto ai rappresentanti dei lavoratori mettendo nero su bianco ciò che già era possibile calcolare guardando i numeri previsti dal piano: nel giro dei prossimi 4 anni l'istituto di credito vuole far uscire 6 mila lavoratori e chiudere più di una filiale su 10, eliminandone altre 450.
Il motivo delle scelte del gruppo guidato dall'amministratore delegato Jean Pierre Mustier è tutto nei numeri: le operazioni allo sportello sono calate del 55% rispetto ad appena 4 anni fa, mentre crescono quelle sui canali 'evoluti', l'home banking e le app. Al tempo stesso la banca non ha intenzione di fare macelleria sociale ma intende tuttavia procedere spedita su questo fronte e trovare un accordo a stretto giro, definendo le strategie già entro il primo trimestre.
L'obiettivo della discussione coi sindacati, che però sono già sul piede di guerra, sarà quello di trovare "soluzioni condivise" a partire dai dipendenti che matureranno entro il 2023 i requisiti per la pensione; in seconda battuta la strada da usare è quella del fondo di solidarietà del settore bancario e infine di "ulteriori forme di esodo che consentano di ampliare le forme e/o le uscite" come "quota 100, opzione donna, riscatti di periodi non coperti da contribuzione, eccetera".
Nel mirino della banca, come è già avvenuto per i dirigenti, anche lo smaltimento delle ferie arretrate per il personale delle aree professionali e per i quadri direttivi. Unicredit "continua ad avere un atteggiamento inaccettabile: l'amministratore delegato Jean Pierre Mustier si illude di poterci squadernare un piano a scatola chiusa, di fatto senza discutere i numeri, tutti già cristallizzati nella lettera di avvio di procedura sul confronto che ci è arrivata oggi", ha attaccato a stretto giro il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni.
"A queste condizioni, diventa difficile poter avviare un negoziato basato sul fair play. Non solo ribadiamo che, a fronte di ogni due eventuali esuberi, dovrà corrispondere almeno un'assunzione, ma anche che tutti gli argomenti del piano industriale, nessuno escluso, andranno condivisi con le organizzazioni sindacali. Quanto all'ossessione dei tagli, vale la pena sottolineare che a fine 2019 i costi totali del gruppo si sono attestati a 9,9 miliardi di euro, assai meno rispetto all'obiettivo prefissato a 10,6 miliardi".
Inoltre, conclude Sileoni, "Unicredit vuole concentrare il 70% dei tagli al personale e alle filiali in Italia, che però è l'area di maggior profittabilità del gruppo, a livello europeo. Insomma, idee confuse e solito piano per fare utili sulla pelle dei lavoratori". Nel gruppo "non esiste un problema di esuberi" rincara il segretario generale aggiunto della Uilca, Fulvio Furlan, che spiega come bisogni limitare le uscite a "logiche volontarie e incentivate, a prevedere assunzioni e a dare concreti segnali che Unicredit vuole essere una banca pienamente radicata sul territorio".