Alzi la mano chi è contro il 5G. Lo hanno fatto venti comuni italiani: tanti sono quelli che hanno emanato o stanno per emanare un'ordinanza che vieta l'installazione di antenne e la sperimentazioni delle nuove reti. Il gruppo si infoltisce e non si ferma ai municipi.
Tra parlamentari, regionali, provinciali e comunali, ci sono stati 165 atti che hanno chiesto (ma non sempre ottenuto) di bloccare la tecnologia o approfondire i suoi effetti. L'elenco viene aggiornato dall'Alleanza italiana stop 5G, nata con l'obiettivo di una “moratoria nazionale subito in difesa della salute pubblica”.
Gli obiettori del 5G
Le ordinanze si ancorano al principio di precauzionale dell’Unione Europea e vietano le sperimentazioni o l'installazione di infrastrutture, nella maggior parte dei casi “in attesa della nuova classificazione della cancerogenesi annunciata dall’International Agency for Research on Cancer”. Le venti ordinanze arrivano da piccoli centri e amministrazioni bipartisan.
Il comune coinvolto più grande è quello di San Lazzaro di Savina, poco più di 30 mila abitanti in provincia di Bologna. A dare lo stop è stata la sindaca neo-renziana Isabella Conti. Cogne è uno dei 120 piccoli centri scelti per sperimentare la tecnologia 5G. Il comune Valdostano ha chiesto la cancellazione dal progetto e il sindaco Franco Allera - dopo aver scritto al presidente della Repubblica - ha promesso un'ordinanza di sospensione (non ancora emanata).
Ben quattro provvedimenti già approvati arrivano dalla provincia di Padova: Baone, Torreglia, Tribano e Montegrotto Terme. Ci sono poi Prasco e Ricaldone (Alessandria), Caresana e Lozzolo (Vercelli), Camponogara (Venezia), Caneva (Pordenone), Dozza (Bologna), Longare (Vicenza), Marsaglia (Cuneo) e Perloz (Aosta).
La maggior parte dei provvedimenti anti-5G si concentra nel Nord Italia. Ma quattro ordinanza di sospensione arriva da comuni meridionali: Scanzano Jonico (Matera), Montecorvino Pugliano (Salerno), Castiglione Cosentino e Delia (Caltanissetta).
Se il provvisorio diventa definitivo
Anche se l'organizzazione che raccoglie i dati parla di “moratoria”, i comuni avanzano una sospensione precauzionale. Cioè, in sostanza, aspettano che se ne sappia di più. Il panorama indefinito, però, non sminuisce i provvedimenti. Il concetto di “certezza” sulla relazione tra esposizione alle radiofrequenze e danni per la salute è più scivoloso di quanto sembri.
Lo “Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks” ha chiesto approfondimenti. Il rapporto dell'Istituto superiore di sanità “Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche” ricorda che l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro include l'esposizione da radiofrequenze nel gruppo dei “possibili cancerogeni”. Ma, chiarisce, la classificazione si basa su “un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro” e sul “debole supporto” degli studi.
“Valutazioni successive - continua il rapporto - concordano nel ritenere che le evidenze relative alla possibile associazione tra esposizione a radiofrequenze e rischio di tumori si siano indebolite”. “Per quanto riguarda le future reti 5G – continua il documento - al momento non è possibile prevedere i livelli ambientali di esposizione alle radiofrequenze associati allo sviluppo dell’Internet delle Cose”.
È vero che “le emittenti aumenteranno, ma avranno potenze medie inferiori a quelle degli impianti attuali e la rapida variazione temporale dei segnali dovuta all’irradiazione indirizzabile verso l’utente comporterà un’ulteriore riduzione dei livelli medi di campo nelle aree circostanti”. In sintesi: c'è sempre un margine di incertezza al quale ci si può appellare per precauzione. Rimandando le installazioni a data da destinarsi.
I passaggi in tribunale
Il 5G passa anche dai tribunali. Il Tar ha respinto il ricorso di Iliad, che si era rivolto ai giudici amministrativo per ribaltare la decisione del Comune di Bologna, che aveva rifiutato di concedere all'operatore la possibilità di riconfigurare alcune antenne di telefonia in vista del 5G. Una decisione – si legge nell'ordinanza del Tar – legittima, perché “deve ritenersi prevalente l’interesse pubblico”.
Dai tribunali amministrativi si potrebbe passare nuovamente. A gennaio, i ministeri dell'Ambiente, della Salute e dell'Istruzione, sono stati obbligati a produrre – entro sei mesi – una campagna informativa sui rischi connessi all'uso del cellulare. Un caso che potrebbe riproporsi con le frequenze 5G.
l 5G in Parlamento
Al di là di sentenze, studi scientifici e ordinanze, i numeri certificano quanto – con l'avvicinarsi del passaggio dalla sperimentazione alla diffusione – stiano crescendo le preoccupazioni sul 5G. Dietro i venti obiettori che hanno già detto “per ora no”, ci sono altri 145 atti. Lo stop al 5G è arrivato anche a Roma. Ci sono 13 atti parlamentari (quasi tutti interrogazioni, con una mozione e un ordine del giorno).
A promuoverli è un gruppo molto ristretto deputati e senatori. Alla Camera, quattro sono firmati dalla ex 5 Stelle (oggi gruppo Misto) Sara Cunial. Uno da Galeazzo Bignami di Fratelli d'Italia e uno da Matteo Dall'Osso, eletto con il Movimento 5 Stelle e passato a Forza Italia. Al Senato, la capogruppo del Misto, eletta con Liberi e Uguali, Loredana De Petris, ha chiesto di individuare “linee guida per la protezione della popolazione dal 5G”.
Ma a Palazzo Madama i paladini della questione sono soprattutto Andrea de Bertoldi di Fratelli d'Italia e Saverio De Bonis (altro ex 5 Stelle oggi nel gruppo Misto). Hanno prodotto tre atti ciascuno per avere informazioni sul possibile elettrosmog e invocare una maggiore trasparenza. In un'interrogazione, De Bonis afferma che sarebbe in corso l'abbattimento di alberi perché intralcerebbero “la propagazione del segnale” e “il grande business del 5G”. E chiede quindi ai ministri se “sono a conoscenza di quanto stia accadendo”.
Comuni, province, regioni
È a livello locale, però, che passa il grosso del traffico. I comuni nei quali è stato dato il via libera a mozioni e delibere che riguardano il 5G sono 63. Si va dalla richiesta di approfondimenti all'organizzazione di convegni.
Altri 56 atti comunali sono stati presentati ma bocciati. Ci sono poi tre province che si sono mosse: Bolzano e Trento lo hanno fatto con una mozione; Barletta-Andria-Trani inoltrando ai comuni un appello (al momento senza esito) con il quale il Codacons chiedeva di appellarsi al principio di precauzione e vietare le sperimentazioni.
Dieci, poi, gli atti presentati in sede regionale, tra interrogazioni, mozioni e question time. È vero: non tutti gli atti, sono stati approvati. E molti si limitano a proposte senza effetti concreti. Ma sono comunque un segnale. Tanto che l'Anci (l'associazione dei comuni italiani) si sta muovendo per distendere il clima e acquietare gli allarmismi.