“Quota 100 scade il 31 dicembre 2021. Se nel frattempo non si prendono provvedimenti, dal primo gennaio 2022 non si potrà più andar e in pensione a 62 anni d’età, avendo 38 anni di contributi, ma bisognerà aspettare fino a 67 anni e due mesi”. In una intervista al Corriere della Sera, Alberto Brambilla, esperto di previdenza e consigliere di Palazzo Chigi, nominato però dal precedente governo, quello gialloverde M5s-Lega, si inserisce nello scontro che agita le acque del rapporto Pd-5S per dire che “allungare di tre mesi le “finestre” per accedere a quota 100 si può anche fare, ma non è questo ciò che risolve il problema aperto da questa misura temporanea”.
Secondo Brambilla si tratterebbe di uno “scalone” un po’ improvviso, per il quale “sarebbe bene pensarci per tempo”. Tuttavia il consigliere di Palazzo Chigi boccia l’idea dei renziani di affossare del tutto e subito Quota 100, perché – dice – “sarebbe una mossa sbagliata” in quanto numerose aziende “hanno già fatto gli accordi per mandare in pensione i lavoratori e si creerebbe quindi una nuova ondata di esodati”.
Inoltre, aggiunge, “il grosso dei lavoratori col sistema retributivo o misto, che poteva approfittare di quota 100 senza rimetterci tanto, è già uscito. Invece, dal prossimo anno la maggior parte di coloro che potrebbero accedere al pensionamento anticipato avrebbe almeno il 60-65% dell’assegno calcolato col contributivo, perdendoci in media il 10%, che non è poco”, dice.
Tutto questo spiegherebbe anche il fatto che si sia “passati da un ritmo di circa 3.500 domande di quota 100 al giorno a 250” per il pensionamento anticipato. La proposta di Brambilla, invece, prevede di predisporre “un canale anticipato di uscita dal lavoro strutturale”, accessibile in particolare ai giovani per i quali “la riforma Fornero è troppo rigida”, in quanto consente l’accesso alla pensione a 64 anni “solo a patto di aver maturato un assegno pari a 2,8 il minimo”, che oggi equivale a circa 1.300 euro, una soglia che per il consulente del governo “taglia fuori il 65-70% dei giovani, viste le basse retribuzioni”. Mentre “si potrebbe lasciare il lavoro a 64 anni avendo almeno 39 di contributi, oppure se si sono raggiunti i 42 anni di contributi (41 per le donne) “indipendentemente dall’età”.
Brambilla nega che ciò possa che questa sua proposta possa aumentare la spesa, il cui costo a suo avviso “sarebbe inferiore a quello di quota 100”. “Se nei primi anni si spende un po’ di più, alla fine, trattandosi di pensioni prevalentemente contributive, si restituirà quanto versato”, precisa.
Poi Brambilla boccia la previdenza complementare, “già abbastanza ricca tra fondi chiusi, aperti, preesistenti e Pip”, mentre quel che servirebbe “una campagna di educazione finanziaria che sensibilizzi i giovani e l’apertura di un nuovo periodo di silenzio-assenso che determinerebbe una nuova ondata automatica di adesione alla previdenza complementare”. Oltre a “tagliare le tasse sui fondi”.