Preoccupazione per un rallentamento "superiore al previsto" dell'economia della zona euro che non mostra segnali di rimbalzo. E un invito a "rivedere" le regole di Eurolandia, che hanno contribuito a tenere a bada il debito, ma che potrebbero non essere adatte al ciclo negativo in cui si trova l'economia europea.
Mario Draghi si congeda dal Parlamento europeo dopo quasi otto anni di mandato ("tre legislature, oltre 30 audizioni e 600 domande", ricorda la neo presidente Irene Tinagli) rivendicando la bontà del pacchetto di stimoli deciso due settimane fa da Francoforte e ripetendo che la politica monetaria della Bce resterà accomodante "per un prolungato periodo di tempo".
Nella sua ultima audizione di fronte alla commissione Affari economici dell'Eurocamera, che gli tributerà un omaggio condiviso da tutti i gruppi tranne che dagli gli euroscettici di Identità e Democrazia in cui siede la Lega, Draghi premette che il rallentamento della crescita dell'area euro è "superiore a quanto avessimo previsto in precedenza", a causa della "debolezza del commercio internazionale, delle incertezze legate alle politiche protezionistiche e a fattori geopolitici".
La crescita del Pil reale dell'area euro sarà dell'1,1% nel 2019, (0,6 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni di dicembre 2018) e dell'1,2% nel 2020, in calo di 0,5 punti percentuali rispetto alle proiezioni di dicembre, dice.
E' per questo rallentamento non previsto, aggiunge, che la politica monetaria deve restare accomodante per un periodo di tempo prolungato: le misure decise nell'ultima riunione dei governatori mostra la nostra determinazione a fornire il necessario stimolo monetario perseguendo l'obiettivo della stabilità dei prezzi", ripete.
Guardando avanti lo scenario non è migliore, aggiunge il capo della Bce, quando manca poco più di un mese al passaggio di testimone con la francese Christine Lagarde al piano più alto dell'Eurotower. Anzi, l'economia della zona euro non mostra nessun segno convincente di rimbalzo. E la politica monetaria da sola non basta, una svolta è necessaria, ripete Draghi tornando a chiedere ai Paesi che hanno spazio di bilancio (leggi Germania, colosso del manifatturiero che risentirà ancora di più della frenata) di spendere e "agire in modo efficace e tempestivo", e invitando quelli che invece hanno un debito pubblico elevato" come l'Italia, a perseguire "politiche prudenti".
All'Italia non serve solo un occhio attento ai conti, ripete Draghi, ma servono riforme strutturali importanti: "una riforma del mercato lavoro, ma anche aumentare la concorrenza che forse è anche più importante. E una riforma del settore giudiziario, educativo, della ricerca. Ogni paese dovrebbe concentrarsi su questi elementi se diamo priorità alla crescita che è la cosa che dovremmo fare", aggiunge.
Uno sforzo che deve accompagnarsi alla revisioni delle regole del gioco, ammette Draghi. A patto di mantenere una politica di bilancio prudente, conclude Draghi, le regole attuali possono essere riviste, perché "sono state utili per molto tempo, e lo sono ancora nella misura in cui evitano un eccessivo accumulo di debito. Ma non forniscono uno strumento di stabilizzazione anticiclico dell'economia. Confidiamo che le regole nella nuova definizione saranno efficaci e ragionevoli".