Anche Jerome Powell, dopo Mario Draghi, carica il suo bazooka da oltre 1.300 miliardi di dollari. Anche oggi, come nei giorni scorsi, la banca centrale Usa è intervenuta per iniettare liquidità nel sistema interbancario statunitense. Quasi 300 milioni di dollari fino a oggi, poi da lunedi'ì fino al 10 ottobre interverrà con iniezioni giornaliere di almeno 75 miliardi per cercare di curare il malato. Per un totale, che alla fine dell'intervento, potrebbe superare i 1.300 miliardi di dollari.
Intanto oggi la Fed ha disposto la quarta iniezione da 75 miliardi. Particolare importante: oggi la domanda è stata di poco superiore all'offerta (75,5 miliardi) segno che gli interventi dei giorni precedenti stanno stabilizzando il mercato interbancario. Inoltre, la Fed offrirà tre operazioni "pronti contro termine" (repo) a 14 giorni di almeno 30 miliardi ciascuna.
Il motivo di questi interventi è da ricercare nel fatto che le banche americane hanno faticato negli ultimi giorni a trovare i contanti necessari per soddisfare i requisiti di riserva che hanno fatto salire i tassi debitori a breve termine. Queste operazioni dovrebbero aiutare a garantire che la liquidità sia sufficiente nel mercato dei prestiti a breve termine cruciale per le banche e le grandi società.
Dopo il 10 ottobre la banca centrale spiega "interverrà se necessario per aiutare a mantenere il tasso dei fed fund in un range prestabilito" ma "l'ammontare e la tempistica di queste operazioni non è stata ancora determinata".
Mercoledì al termine del meeting del Fomc il presidente Jerome Powell ha detto di non essere preoccupato per la mancanza di liquidità del sistema. Il mercato interbancario repo è quello attraverso cui gli istituti di credito si prestano il denaro a vicenda e tale mercato assicura che le banche abbiano i soldi per le necessità giornaliere. Se il denaro scarseggia comincia a costare di più ed è quello che è accaduto di recente con il tasso overnight schizzato fino al 10% (oltre quattro volte il riferimento fissato dalla Fed).
Questo rappresenta un primo campanello di allarme perché le ricadute si trasmettono dall'interbancario al mercato obbligazionario e, successivamente, a quello del credito di famiglie e imprese e quindi sull'economia reale. È la prima volta dal 2008, dagli anni cioè della crisi finanziaria, che la Fed non iniettava tanto denaro nel sistema monetario Usa.
Intanto sul fronte della decisione di mercoledì scorso di tagliare i tassi dello 0,25% arrivano le spiegazioni dei presidenti non in linea con Powell. Secondo il numero uno della Fed di St.Louis, James Bullard, bisognava tagliare i tassi di 50 punti base perché l'economia rallenterà "nel breve" termine e la manifattura "già appare in recessione".
Di parere opposto invece Eric Rosengren, presidente della Federal Reserve di Boston, secondo cui l'economia statunitense "non ha bisogno di un ulteriore stimolo monetario". Secondo Rosengren, un taglio dei tassi "gonfierebbe i prezzi dei beni e incoraggerebbe le famiglie e le imprese a prendere in prestito troppo".