Tim Cook e Mark Zuckerberg non si sono mai amati. O forse è la strategia di Apple e Facebook a pretendere uno scontro, senza rancore. Le saltuarie frecciatine di qualche anno fa si sono trasformate in frequenti attacchi: una guerra fredda (anzi, ormai tiepida) alimentata soprattutto da Cupertino, impegnata a dimostrare - dopo il caso Cambridge Analytica - che le società tecnologiche “non sono tutte uguali”. Di tanto in tanto, Menlo Park risponde. Questa volta lo ha fatto per bocca di Nick Clegg, ex vice-primo ministro britannico oggi a capo degli affari internazionali di Facebook: ha definito Apple “un club esclusivo”, in contrapposizione all'accogliente, gratuito, social network.
2014: i primi screzi
Gli screzi non sono cosa fresca. Già nel settembre 2014, Cook aveva scritto una lettera aperta ai clienti per sottolineare l'attenzione di Apple sul tema privacy. Con una puntura: “Gli utenti di internet hanno iniziato a realizzare che quando un servizio online è gratuito, tu non sei il consumatore ma sei il prodotto. In Apple crediamo che una grande esperienza utente non debba arrivare a spese della tua privacy”.
Come nello stile che il ceo conserverà anche negli anni successivi, niente nomi. Il riferimento a Facebook e Google, però, è solare. Tanto che Mark Zuckerberg si era sentito chiamato in causa. Aveva taciuto per un po', ma il tempo non aveva lenito l'irritazione. In un'affermazione riportata dal Time a dicembre (due mesi dopo la lettera di Cupertino), il ceo di Facebook aveva definito “ridicole” le parole di Cook. E “frustrante” la sua convinzione che il modello pubblicitario (gratuito e basato sui dati, come Facebook) sia meno allineato alle necessità dei clienti rispetto a quello fondato sulle vendite (di hardware e servizi, come Apple).
Cambridge Analytica rompe l'equilibrio
Due compagnie come Facebook e Apple, in fondo, possono anche odiarsi (ammesso che si odino) ma non farsi la guerra. Non conviene a nessuno, soprattutto in un momento di grande brillantezza. Poi arriva il 2018, anno complicato per entrambi, e lo scenario cambia. L'iPhone scricchiola e Facebook deve affrontare il caso Cambridge Analytica. Se Menlo Park deve difendersi, prendere le distanze diventa una priorità per Apple: in un'intervista trasmessa da Msnbc, Cook ribadisce che “trafficare con i dati è un'invasione della privacy”. Poi aggiunge: “La migliore regolamentazione è l'autoregolamentazione, ma penso che in questo caso siamo già oltre”. Come a dire: le aziende mature dovrebbero sapere cosa è giusto fare senza l'imposizione di un guardiano.
Ma nel caso di Facebook servono bacchettate sulle dita. “La verità – afferma Cook - è che potremmo guadagnare un sacco di soldi se monetizzassimo i nostri clienti. Abbiamo scelto di non farlo”. Zuckerberg non si scompone in pubblico, anche se – ha scritto il New York Times – sarebbe stato talmente irritato da ordinare ai vertici di Facebook di cestinare gli iPhone e usare solo Android. Qualche mese dopo, replica in un'intervita a Vox. L'idea che chi offre servizi gratuiti sia meno attento ai clienti sarebbe una convinzione “superficiale” e “non in linea con la realtà”. Questa volta, il ceo di Facebook allarga il campo: “Se vuoi creare un servizio che aiuti a connettere il mondo, ci sono molte persone che non possono permettersi di pagare”. La gratuità come valore, contro i costosi prodotti Apple.
2019: dalle parole ai fatti
Alla fine dello scorso gennaio, lo scontro – per la prima volta – si concretizza. Un'inchiesta di Techcrunch rivela che, camuffandosi dietro alcune app, Facebook ha pagato utenti tra i 13 e i 35 anni per intercettare chat, navigazione, geo-localizzazione. La condotta non è stata gradita a Apple, che in passato aveva già espulso dal proprio App Store un servizio simile legato a Menlo Park. È allora scattata la punizione: Cupertino ha bloccato, anche se solo per poche ore, il certificato che consentiva ai dipendenti di Facebook alcune funzioni aziendali su iOS e i test interni sulle versioni delle app in sviluppo. Si è risolto tutto in una giornata, ma non è stato certo un segnale di disgelo.
A maggio Cook ha rimarcato, ancora una volta, le differenze: “La tecnologia non è un monolite – ha spiegato a Cnbc - noi non traffichiamo con i tuoi dati. È frustrante vedere la tecnologia descritta come un blocco unico. Sarebbe come dire che 'i ristoranti o le reti televisive sono tutti uguali'. Invece ognuno ha la propria personalità e le proprie caratteristiche”. A fare “un'enorme differenza” è proprio la privacy. Una convinzione che si è tradotta in funzione durante la Wwdc, la conferenza degli sviluppatori Apple di inizio giugno. La Mela ha varato “Sign in with Apple” (“Accedi con Apple”), un sistema di autenticazione che permette l'accesso ad app e siti usando l'ID Apple in possesso di chiunque abbia un dispositivo di Cupertino. È un'alternativa a servizi già da tempo forniti da Facebook e Google. Ma con l'accento sulla riservatezza: nome utente e mail richieste dalle applicazioni saranno univoci e casuali, con la Mela che si fa “garante” dell'identità senza condividere i dati con entità esterne.
Élite e popolo, hardware e dati
Ed eccoci a questi giorni. Cook si presenta all'Università di Stanford e parla agli studenti: il settore tecnologico si è convinto di poter “ricevere credito senza accettare responsabilità. Lo vediamo ogni giorno, tra violazione della privacy e dei dati, fake news, discorsi di incitamento all'odio”. “Troppi – afferma il ceo di Apple - sembrano pensare che le buone intenzioni scusino i risultati dannosi. Ma che piaccia o meno, ciò che costruisci e ciò che crei definisce chi sei. Se hai costruito una fabbrica del caos, non puoi evitare la responsabilità per il caos”. Neppure stavolta Cook cita le singole compagnie. Ma quelle buone intenzioni sembrano riferirsi ai tanti “sorry” detti da Mark Zuckerberg. Insomma, tra “le fabbriche del caos” c'è anche Facebook.
Ecco perché Clegg ha risposto, e in modo più frontale del solito. “Facebook è gratuito e per tutti” ha affermato durante una conferenza alla Hertie School of Governance di Berlino. “Altre grandi aziende tecnologiche fanno i loro soldi vendendo hardware costosi o servizi in abbonamento ai consumatori dei Paesi più ricchi e sviluppati: sono un club esclusivo”. Questa volta è Facebook a non nominare Apple. Non ce n'è bisogno: “In Facebook non c'è esclusività, nessun accesso vip, nessuna business class. I nostri servizi sono accessibili agli studenti in Guatemala, agli allevatori di bestiame del Midwest degli Stati Uniti, agli impiegati di Mumbai, alle startup tecnologiche di Nairobi o ai tassisti di Berlino, e più di 2 miliardi di persone utilizzano le nostre piattaforme, perché possono farlo”.
Apple è per i ricchi, Facebook è per chiunque. E così la retorica della contrapposizione tra élite e popolo arriva anche nella Silicon Valley. I soldi dei ricchi hardware contro la gratuità dei dati. Questione, appunto, solo retorica. Un po' perché quella tra dati e ricchezza è una falsa contrapposizione. E un po' perché a scornarsi sono due delle prime cinque società più grandi del pianeta, ognuna impegnata a difendere se stessa.