Quando si parla di videogiochi e si accenna al tema violenza, il rischio di cedere all'allarmismo è sempre piuttosto alto. Se la relazione tra giochi violenti e comportamenti dei più giovani è da anni molto dibattuta e mai del tutto chiarita neanche dalle ricerche scientifiche (salvo essere data per certa in maniera scorretta ogni volta che un caso di cronaca riaccende i riflettori sul tema), assai più certo è invece che l'industria videoludica ha una netta preferenza per le meccaniche violente all'interno dei giochi che produce.
A dimostrarlo è una nuova ricerca del sito per addetti ai lavori GamesIndustry.biz che ha analizzato tutti i titoli presentati all'ultimo E3 di Los Angeles, la più importante fiera del settore, scoprendo che su 239 giochi in totale, appena 41 sono quelli “non violenti”. Di più: di questi 41 la maggior parte sono titoli di piccole case e sviluppatori indipendenti, mentre solo 17 arrivano dalle major del software e dai grandi produttori. Trasformando gli assoluti in percentuale, i conti sono piuttosto eloquenti: il 17 per cento appena dei videogiochi della prossima stagione si basano su meccaniche non violente. Una esigua minoranza.
Ma cosa si intende per videogioco violento?
L'obiettivo dello studio di GamesIndustry è quello di mappare i contenuti dei giochi prodotti, e non di fornire un giudizio etico. "È importante sottolineare qui che questo studio non è destinato a denigrare la violenza come meccanica dei videogame – spiega l'autore James Batchelor - Si tratta semplicemente di dare un'occhiata a quanta parte della produzione del settore si basa sulla vendita della stessa meccanica fondamentale: la capacità di combattere e uccidere". Per definire un gioco violento, Batchelor ha quindi stabilito sette punti, da cui emerge in maniera evidente come sia la meccanica che c'è dietro il gioco a interessare il ricercatore più del modo in cui la violenza è rappresentata.
Tra i titoli violenti si inseriscono così anche giochi come Luigi's Mansion 3, in cui il fratello di Super Mario strapazza dei fantasmi, o gli omini di Lego Star Wars che picchiano con la spada laser gli avversari: parliamo di giochi adatti anche ai bambini (Luigi's Mansion è un Pegi 7, consigliato cioè a partire dai sette anni) in cui la violenza è mostrata in maniera assolutamente cartoonesca e innocente (niente sangue o armi realistiche), ma che comunque si reggono su una meccanica precisa: "la capacità di combattere e uccidere", spiega il ricercatore.
Tra gli sviluppatori presenti all'E3, a presentare più titoli non-violenti (un terzo del totale) è stata Electronic Arts grazie agli sportivi Fifa 20, Madden NFL 20 e al simulativo The Sims 4. Le software house più “violente” sono state invece Square Enix con appena il 5 per cento dei titoli presentati liberi da meccaniche di attacco e danno e, un po' a sorpresa, Nintendo, che ha presentato come gioco non violento solo l'atteso Animal Crossing New Horizons, titolo simulativo a tema bucolico.
"È una tendenza affascinante se si considera che il primo videogioco commerciale, Pong, non ha comportato alcuna violenza o combattimento in alcuna forma, semplicemente deviando una palla in una versione primitiva del tennis – chiosa il ricercatore - Eppure, non appena giochi del calibro di Space Invaders e Asteroids hanno mostrato la popolarità di sparare un set di pixel a un altro set di pixel per farlo sparire questa interazione è diventata quella su cui gli sviluppatori si sono concentrati maggiormente".