“Può essere anche corretto che lo Stato metta dei fondi per sostenere una società nuova. Il punto è avere una nuova società che non vada in perdita”. Così il ministro Tria risponde su Alitalia al direttore de Il Foglio in un lungo colloquio dal titolo “È ora di dare fiducia all’Italia”, interrogato se sia “corretto ed equo” gettare altri miliardi in una società come Alitalia “tecnicamente fallita da decenni”.
Il titolare dell’Economia ritiene che “avere una compagnia italiana sia importante” ma “il problema è avere un piano industriale serio” perché si tratta di investimenti e “soldi pubblici e non vanno buttati (…) perché non serve mettere soldi in un’impresa che va in perdita e che tra un anno fallisce”.
Al Foglio, il superministro economico e finanziario descrive poi le condizioni nel quale la compagnia di bandiera dovrebbe operare: “Lo Stato quindi può entrare a condizione che sia un progetto che non vada in perdita. Secondo le regole europee deve essere una società che opera nelle regole di mercato. Anche una società al cento per cento dello stato deve operare sul mercato”.
Potrebbero essere dunque la mancanza di queste condizioni o di questi presupposti di base che hanno fatto dire ieri all’ad di Atlantia, Giovanni Castellucci, “abbiamo talmente tanti fronti aperti che non possiamo permetterci di impegnarci su un fronte talmente complesso come è Alitalia”. Anche se, alla domanda se la sua risposta potesse essere letta come un “no” definitivo si è trincerato dietro un diplomatico “non posso dire di più”.
Ma questa risposta fa comunque scrivere a la Repubblica che “Atlantia si chiama fuori ma tratta”. In che modo? Nel senso che la società del Gruppo Benetton “alza il prezzo su Alitalia mentre Luigi Di Maio – viste le difficoltà a mettere insieme la cordata per il salvataggio – allunga, secondo indiscrezioni attendibili, il termine per la vendita oltre le elezioni europee”, si legge nell’articolo. Anche se il tempo a disposizione è davvero molto poco, se non già scaduto, visto che “nessuna offerta è arrivata sul tavolo del ministro dello Sviluppo economico entro il termine del 30 aprile”, sottolinea il quotidiano romano. E la risposta di Castellucci viene letta anche da Il Messaggero come “una mossa tattica”.
Intanto resta aperto il rebus di quanti siano i soci di Alitalia. E a quanto ammonti la quota di capitale ancora mancante. Sono gli ultimi interrogativi più urgenti nel percorso della trattativa per Alitalia che deciderà le sorti della compagnia di bandiera, ormai vicina alla liquidazione. Termini per i quali “è verosimile che si vada a una nuova proroga”. “Filtra l’ipotesi che i commissari siano stati autorizzati dal Mise ad allungare al 15 (o al 31 maggio) il termine concesso alle Ferrovie per fare l’offerta”, quindi anche prima del voto europeo, diversamente da quel che scrive la Repubblica.
Interrogativi rilanciati dalle dichiarazioni del vicepremier stellato Luigi Di Maio che ieri sera a Otto e mezzo su La7, ha detto: “Adesso manca l’ultimo soggetto, ci sono Ferrovie, il Mef e Delta. Non manca il 40%, assolutamente no. Si può arrivare anche al 15%, è questa la quota che un socio deve garantire in base a quello che stiamo vedendo della torta. Ci sono offerte che stanno arrivando”.
Tuttavia Il Sole 24 Ore scrive che “la partita resta bloccata” e quel che ha detto il ministro del lavoro davanti alle telecamere di Lilli Gruber “non coincide con i dati finora conosciuti”. Nel senso che, spiega il giornale confindustriale, “Fs ha scritto che manca il quarto socio (ci sono Fs, Delta e Mef con il 60% del capitale dell’ipotizzata ‘newco Nuova Alitalia’, manca il 40%) e che c’è bisogno di un tempo «congruo» per cercare di chiudere con il potenziale quarto socio (cioè Atlantia), rimettendosi ai commissari per decidere se continuare i negoziati o chiudere tutto”.
Secondo Il Messaggero, però, le parole di Di Maio sulla percentuale di capitale mancante o sufficiente “hanno lasciato di stucco tutti i soggetti coinvolti”. Ovvero, “siccome Mef e Delta hanno già deciso di rilevare un 15% a testa, l’unica chiave di lettura possibile è che Di Maio pensi a un ‘portage’ di Fs o Tesoro: aumentare le loro quote salvo trovare un altro partner in seguito”. Ma Tria sarebbe d’accordo?
Una fonte ministeriale spiega al quotidiano della Capitale che “siamo ancora in una fase interlocutoria” mentre la Repubblica sostiene che “il problema, specie per i grillini, è chiaro. Un potenziale compratore per il 15% di Alitalia ancora senza padrone, c’è. Ma il nome è altamente indigesto per Di Maio: Atlantia, la holding dei Benetton che controlla gli Aeroporti di Roma, la stessa società cui il governo ha minacciato di ritirare la concessione sulle Autostrade dopo la tragedia con 43 morti del crollo del Ponte Morandi a Genova”.
“Atlantia, società di controllo di Aeroporti di Roma e quindi di Fiumicino, l’hub di Alitalia, oltre che di Autostrade, sarebbe in realtà più che disponibile a entrare nella cordata con Fs, Delta e Mef” ma “chiede condizioni al suo ingresso”. Ovvero? “La sua partecipazione, oltre a dare un assetto stabile alla compagnia aerea, dovrà servire anche a normalizzare i rapporti con il governo, incrinati dopo il crollo del Ponte Morandi” scrive il Corriere della Sera.
Ma è davvero questo il prezzo della trattativa?