Negli ultimi dieci anni gli occupati stranieri hanno “sostituito” quelli italiani. È questo il principale risultato di una ricerca del Centro Studi ImpresaLavoro, realizzata su elaborazione di dati Istat ed Eurostat e disponibile qui nella versione integrale.
In Italia l’occupazione appare in ripresa rispetto al 2008 (+124.601 unità). Suddividendo gli occupati totali per cittadinanza - quindi tra italiani e stranieri (UE ed extra UE) - secondo ImpresLavoro emerge però un effetto “sostituzione”: dal 2008 al 2018 quelli stranieri sono infatti aumentati da 1.690.090 a 2.455.003 (+764.913 unità, +45,3%) a fronte della riduzione di quelli italiani, che sono invece diminuiti da 21.400.258 a 20.759.946 (-640.312 unità, -3,0%).
Si legge in una nota diffusa dall'Ufficio studi: "Prendendo in considerazione soltanto i cittadini stranieri extra-UE, ci si accorge inoltre di un dato altrettanto significativo: l’Italia è tra i pochissimi Paesi europei in cui questi sono occupati più e meglio dei cittadini nazionali. Secondo i più recenti dati Eurostat (2017), il tasso di occupazione dei cittadini italiani tra i 15 e i 64 anni residenti nel nostro Paese è del 57,7%: un dato che si avvicina molto a quello della Croazia (59%) e che risulta nettamente inferiore alla media dell’Unione a 28 membri (68,1%)".
In tutta Europa soltanto la Grecia (53,6%) ha un mercato del lavoro meno efficiente del nostro. In questa particolare classifica siamo quindi nettamente superati da tutti i nostri principali competitor: Germania (77,3%), Paesi Bassi (76,7%), Regno Unito (74,4%), Portogallo (67,8%), Irlanda (67,1%), Francia (65,8%) e Spagna (61,4%).
Guardando invece solamente alla percentuale di occupati tra i lavoratori extra-UE residenti in Italia, la posizione in classifica del nostro Paese vola verso l’alto, dal penultimo al quattordicesimo posto: il nostro 59,1% risulta infatti largamente superiore alla media dell’Unione a 28 membri (54,6%). Si tratta di un dato in netta controtendenza rispetto a quanto avviene abitualmente negli altri Paesi e soprattutto nelle altre economie avanzate del continente.
Oltre all’Italia, solo altri tre Paesi europei hanno tassi di occupazione più bassi tra i propri connazionali rispetto a quelli fatti registrare tra i lavoratori extracomunitari si tratta della Repubblica Ceca (-0,8 punti percentuali), della Slovacchia (-0,9) e di Malta (-2,7). Un dato che stride con la media dell’Unione a 28 membri (+13,5 punti percentuali). In tutto il resto d’Europa la differenza, espressa sempre in punti percentuali, risulta infatti a favore dei cittadini dei Paesi presi in esame: Spagna (+5,7), Irlanda (+6,5), Regno Unito (+13,3), Francia (+20,6), Germania (+25,0) e Paesi Bassi (+26,7).
"Quel che veramente sorprende è che il recupero del livello occupazionale precedente la crisi sia imputabile solamente ai lavoratori stranieri, mentre gli occupati italiani sono ancora inferiori al livello di dieci anni fa", commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro. "Ed è anche sorprendente riscontrare che il tasso di occupazione dei residenti extra-UE sia superiore a quello dei nostri connazionali. Queste anomalie dipendono, almeno in parte, dalla disponibilità di questi lavoratori ad accettare occupazioni che ormai gli italiani si rifiutano di prendere in considerazione. Ma questo non spiega tutto. Il nostro mercato del lavoro sconta un disallineamento strutturale tra offerta formativa e fabbisogni occupazionali delle aziende. E i nostri giovani sono costretti a percorsi di studio che li portano a entrare tardi e male nel mercato del lavoro, rimanendo inoccupati per lunghi periodi di tempo".