L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, “plaude” alla novità di un sussidio rivolto alle persone in povertà, ma allo stesso tempo trova che i 780 euro sono “squilibrati” rispetto ai redditi medi, specie al Sud. Ma non è tutto: in più, si rileva, il sussidio “è troppo disegnato per favorire i single rispetto alle famiglie” mentre avrebbe dovuto essere il contrario.
Ultimo ma non ultimo, osserva, la transizione tra reddito garantito e lavoro “non è stata concepita con l’attenzione necessaria” al punto che si rischia una sorta di “trappola del sussidio”: si potrebbe rifiutare il lavoro “perché comporta —a differenza dell’assistenza — maggiori costi per trasporti e cura dei bambini”.
È quanto osserva Dario Di Vico in un articolo sulle pagine economiche del Corriere della Sera riportando parti del Rapporto curato dall’organizzazione internazionale, in cui l’Ocse stessa “critica gli scenari catastrofisti circolati finora in materia di distruzione dei posti di lavoro a causa del combinato disposto tra robot e globalizzazione”. “Non sono realistici” sostiene il Rapporto, perché le persone “vivono e lavorano più a lungo e i tassi di occupazione sono in crescita”. Anche se oggi i lavoratori sono messi alla prova da “un rischio più elevato di obsolescenza delle competenze” e perciò “è decisiva la formazione in quantità e qualità”. Tuttavia “il sistema formativo italiano non è attrezzato per le sfide future: solo il 21% degli adulti partecipa a programmi di aggiornamento professionale” osserva Di Vico.
A questo proposito, “il Rapporto fornisce una stima specifica per l’Italia: nei lavori ad alta probabilità di automazione i posti a rischio-scomparsa sono il 15,2% (media Ocse 14%), per quelli dove si verificheranno ‘cambiamenti sostanziali’ — ovvero posti salvi ma mansioni molto diverse — la percentuale sale al 35,5 (media Ocse 31,1)”. La transizione però dal vecchio al nuovo mondo del lavoro “non sarà indolore e il conto da pagare crescerà se i sistemi-Paesi sottovaluteranno le contraddizioni esistenti e non predisporranno policy che accompagnino il cambiamento”. Ciò che riporta rigorosamente “alla centralità della formazione, nostro buco nero”.
“I soldi ci sono – osserva il giornalista - ma vengono sprecati e solo il 60% delle imprese italiane con almeno 10 addetti offre formazione continua ai dipendenti (media Ocse 75%)”.