"Ieri si è inaugurata una nuova epoca del diritto d'autore in Italia. Soundreef e Siae hanno deciso di autoregolamentarsi per coprire il vuoto legislativo italiano. Ma adesso tocca al governo completare il percorso di liberalizzazione del mercato". Davide D'Atri non nasconde soddisfazione per la fine della lunga battaglia con Siae e commenta ad AGI l'accordo tra le società che ieri hanno deciso di seppellire l'ascia di guerra e riconoscersi reciprocamente nel libero mercato della gestione degli introiti derivanti dagli incassi del diritto d'autore. Soundreef, nata nel 2011, opera in Italia dal 2017 e ha oggi 17.400 autori italiani iscritti e circa 35 mila in totale.
Un passo indietro per capire come si è arrivati a questo punto. Cinque anni fa una direttiva europea aveva dato la possibilità a tutti gli artisti di affidare a qualunque società volessero la raccolta dei diritti sull'utilizzo della loro musica. Il governo italiano però ne recepì solo una parte, mantenendo di fatto il monopolio Siae, ma dando al contempo la possibilità di operare a società no profit.
Soundreef, che una no profi non è, per lavorare in Italia ha quindi trovato un'accordo con la no profit Lea, soluzione duramente criticata da Siae. In un clima di scontro, ricorsi in tribunale e diffidenza si è arrivati alla soluzione di ieri: reciproco riconoscimento come operatori, rinuncia alle cause pendenti e nuovi contratti per gli utilizzatori.
Abbiamo raggiunto il fondatore di Soundreef a Londra, dove si sta concedendo qualche giorno di pausa con la famiglia.
Possiamo dire che la guerra tra voi e Siae è finita?
“Credo di sì. Di sicuro è l’inizio di un percorso che accompagnerà l’Italia ad avere nuove regole nel mercato degli autori e degli editori. L’accordo è un primo passo importante, c’è stata una settimana positiva nei dialoghi tra noi e Siae. Ora però è importante che il governo continui questo percorso”.
Cosa dovrebbe fare?
“Dovrebbe liberalizzare del tutto il mercato perché di fatto, sembrerà incredibile, ma Soundreef deve ancora restare in Inghilterra, e con la Brexit vorremmo tornare in Italia. Noi vogliamo riportare tutto qui, diventare una srl che opera qui nel mercato del diritto d’autore, come molte altre startup italiane a Londra stanno cercando di fare o hanno già fatto. Credo che l’attuale governo sia sensibile alle nostre richieste. Riperto: serve una legge che liberalizzi del tutto il mercato e ci consenta di operare come Soundreef”.
Il freno è ancora il parziale recepimento della direttiva europea del 2014 sulla liberalizzazione del settore, vero?
“Esatto. Oggi non si può operare in Italia come società londinese, finora l’abbiamo fatto con la Lea, perché solo a enti no profit è stata autorizzata la raccolta dei proventi dall’utilizzo di opere coperte da diritto d’autore di società che non siano Siae. È una stortura voluta dal precedente governo che chiediamo di superare definitivamente. Siae ci ha riconosciuto, ora serve una legge che definisca la situazione che si è venuta a creare“.
Anni di scontri, tribunali, toni accesissimi e poi improvvisamente la pace. Cosa ha fatto in modo che la situazione si sbloccasse?
“Tutto è partito dalle persone. A un certo punto in Siae ci sono state persone che hanno capito che la strada del dialogo era la migliore. Nomi? No, non è importante farne, ma qualcuno ha compreso che era il momento del dialogo. Ci siamo seduti a un tavolo con posizioni assai distanti, ma con franchezza ci siamo confrontati e abbiamo raggiunto alcuni punti importanti che partono da interessi comuni. Per me è stata una grande lezione, che credo possa servire anche ad altri: quello che importa è confrontarsi con franchezza, in Italia non è sempre così, è tutto o bianco o nero, pochi riescono a confrontarsi con onestà intellettuale. Credo che sia da qui che nascono le cose migliori. Ed è così che è nato questo accordo”.
Quanto tempo è servito?
“Pochissimo. Sei settimane”
Cosa prevede?
“La Siae riconosce che la Lea può incassare per conto di Soundreef e che non può incassare se un editore dice di avere il 100% dell’opera, che dice cioè di parlare anche per l’autore. Da oggi senza mandato dell’autore non si può incassare. Inoltre Siae dice chiaramente che gli utilizzatori devono dotarsi di doppia licenza, integrando la vecchia. Certo, ora non c’è televisione o radio che non suoni già il nostro catalogo. Ma è la trasparenza con la quale Siae ci riconosce la cosa più importante dell’accordo.
Ora cosa succederà?
“Ora lavoreremo per cercare regole comuni per gli utilizzatori. In realtà l’avrebbe dovuto fare il precedente governo, e questo sancisce un po’ il fallimento di una certa politica, che si è arroccata su posizioni superficiali e lasciato a noi il compito di autoregolarci. È l’assenza del legislatore che per certi versi ha velocizzato l’accordo: ci siamo resi conto che il legislatore è stato così carente nei processi che era meglio sbrigarsela da soli”.
Quindi da oggi si apre una nuova epoca per il diritto d’autore in Italia.
“Certo. È finita un’epoca e se ne apre una nuova. Tutta da scrivere”.
Cosa potrebbe succedere?
“È davvero difficile dirlo. Siae potrebbe rinnovarsi completamente e offrire servizi così buoni da diventare in poco tempo di nuovo monopolio del mercato. Oppure ci saranno 3, 4 società diverse che faranno a gara per offrire servizi migliori agli artisti. Di certo il mercato è aperto e questo potrebbe invogliare altri a provare nuovi servizi e cambiare tutto. Oggi gli artisti hanno una possibilità di scelta che prima non avevano. Ed è un enorme traguardo per tutti”.
Pensi che la tua storia sia d’esempio a chi, con la propria startup, con la propria idea d’impresa, vuole cambiare le cose in Italia?
“Penso di sì e spero che la nostra storia sia d’ispirazione anche per loro. Per quegli imprenditori che ogni giorno provano a migliorare i più svariati settori, ma si trovano bloccati da burocrazia, cattiva politica o assenza di aiuti. Quello che voglio dire è che anche in Italia si può fare. Bisogna crederci, studiare e avere pazienza nel combattere lo status quo senza paura e pregiudizi”.