L'integrazione europea non equivale necessariamente a una perdita della sovranità nazionale e l'indipendenza non garantisce necessariamente quest'ultima, anzi. Sovranisti ed euroscettici sono i destinatari nemmeno troppo impliciti del discorso tenuto dal presidente della Bce, Mario Draghi, all'università di Bologna in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Giurisprudenza.
"Porsi al di fuori dell'Ue può sì condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso argomento vale per l'appartenenza alla moneta unica", ha sottolineato Draghi, "la maggior parte dei paesi, da soli, non potrebbero beneficiare della fatturazione delle loro importazioni nella loro valuta nazionale, il che esaspererebbe gli effetti inflazionistici nel caso di svalutazioni", "Sarebbero inoltre più esposti agli spillover (effetti contagio, nda) monetari dall'esterno che potrebbero condizionare l'autonomia della politica economica nazionale: primi tra tutti gli spillover della politica monetaria della Bce, come negli ultimi anni è peraltro accaduto alla Danimarca, alla Svezia, alla Svizzera e ai paesi dell'Europa centrale e orientale", ha proseguito.
Indipendenza e sovranità
Per Draghi il problema non è la fiducia nel progetto europeo ("il 75% dei cittadini dell'area dell'euro è a favore dell'euro e dell'unione monetaria e il 71% degli europei è a favore della politica commerciale comune") ma "la considerazione che i cittadini europei hanno delle istituzioni dell'Unione", scesa "dal 57% del 2007 al 42% di oggi". E "peraltro questo declino è parte di un fenomeno più generale che vede diminuire la fiducia in tutte le istituzioni pubbliche. Quella verso i governi e i parlamenti nazionali oggi si attesta appena al 35%".
Secondo il presidente della Bce, oggi per molti c'è la percezione "che ci sia un trade-off (uno scambio, nda) tra l'essere membri dell'Unione europea e la sovranità dei singoli Stati. Secondo questo modo di pensare, per riappropriarsi della sovranità nazionale sarebbe necessario indebolire le strutture politiche dell'Unione europea. Ritengo sbagliata questa convinzione perché confonde l''indipendenza' con la sovranità. La vera sovranità si riflette non nel potere di fare le leggi, come vuole una definizione giuridica di essa, ma nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini: 'la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo', secondo la definizione che John Locke ne dette nel 1690. La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce questo controllo: in altre parole, l'indipendenza non garantisce la sovranità".
E prende l'esempio, "estremo ma efficace, di quei paesi che sono totalmente al di fuori dell'economia globale: essi sono indipendenti - spiega il governatore - ma certamente non sovrani in un senso pieno della parola, dovendo ad esempio spesso contare sull'aiuto alimentare che proviene dall'esterno per nutrire i propri cittadini".
La parola chiave è "cooperazione"
Non c'è quindi contrasto, secondo Draghi, tra integrazione europea e sovranità nazionale: "Al cuore del dibattito sui meriti della cooperazione europea sta una percezione che appare in superficie inevitabile: da un lato l'integrazione genera indubbi benefici; dall'altro, perché questi si materializzino è necessaria una cooperazione talvolta politicamente difficile da conseguire o da spiegare".
"Questa tensione tra i benefici dell'integrazione e i costi associati con la perdita di sovranità nazionale - ha proseguito Draghi - è per molti aspetti e specialmente nel caso dei paesi europei, solo apparente. In realtà in molte aree l'Unione europea restituisce ai suoi paesi la sovranità nazionale che avrebbero oggi altrimenti perso".
E in un mondo globalizzato tutti i Paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all'Unione europea". La globalizzazione, spiega Draghi, "aumenta la vulnerabilità dei singoli Paesi in molte direzioni: li espone maggiormente ai movimenti finanziari internazionali, a possibili politiche commerciali aggressive da parte di altri Stati e, aumentando la concorrenza, rende più difficile il coordinamento tra paesi nello stabilire regole e standard necessari per il conseguimento al proprio interno degli obiettivi di carattere sociale. Il controllo sulle condizioni economiche interne ne risulta indebolito. La cooperazione, proteggendo gli Stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne".