La Banca d'Italia è il quarto detentore mondiale di oro al mondo, dietro la Fed, la Bundesbank e il Fondo monetario internazionale. Le sue riserve auree, dopo il conferimento di 141 tonnellate alla Bce, è di 2.452 tonnellate metriche, costituite di oltre 95.000 lingotti e circa 870.000 pezzi di monete d'oro, un tesoro che, sulla base dell'ultimo bilancio della Banca d'Italia, ha valore pari a circa 85 miliardi di euro. Meno della metà, il 44%, è conservato a Palazzo Koch a Roma, mentre il resto è suddiviso nei caveau di altre banche centrali per ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l'oro è stato acquistato e per ragioni di sicurezza.
Più nel dettaglio il 43,3% è negli Stati Uniti, il 5,7% a Londra, presso la Banca d'Inghilterra, e il 6% a Basilea, presso la Banca dei Regolamenti Internazionali. La loro gestione è vincolata all'Eurosistema ed esse rappresentano un baluardo a difesa del patrimonio dell'istituto e della stabilità dell'euro.
A che servono queste riserve?
Come si legge sul sito web di via Nazionale la loro gestione è vincolata dall'articolo 31 dello Statuto dell'Eurosistema e contribuisce alla "solidità patrimoniale della Banca a fronte dei rischi cui questa è esposta nello svolgimento delle sue attività istituzionali". Inoltre, la loro gestione è sottoposta al divieto di finanziamento monetario previsto dall'articolo 123 del Trattato Ue. Insomma, le riserve sono un baluardo a difesa delle crisi valutarie e contro il rischio sovrano e servono per rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e, in ultima analisi, della moneta unica.
Come ha recentemente dichiarato il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, per stabilire di chi sia la proprietà giuridica dell'oro bisognerebbe chiedere alla Bce. Tuttavia, Claudio Borghi, presidente leghista della commissione Bilancio della Camera, ritiene che la proprietà dei lingotti italiani debba andare allo Stato e propone che debba esserci una legge "che lo dichiari esplicitamente".
Il mercato dell'oro
Nel 2018 le banche centrali hanno comprato enormi quantità di oro, il massimo dal 1971, cioè da quasi 50 anni. Lo rivela il World Gold Council, un'associazione industriale creata nel 1987 dalle principali aziende minerarie aurifere per stimolare la domanda di oro, secondo cui le banche centrali l'anno scorso hanno rimpinguato i loro forzieri di 651,5 tonnellate d'oro, il 74% in piu' rispetto all'anno precedente. La domanda globale di oro l'anno scorso ha toccato le 4.345,1 tonnellate, il 4% in più rispetto al 2017.
A favorire la corsa all'oro sono le incertezze geopolitiche, a partire dalla Brexit, la volatilità finanziaria e lo stesso prezzo dell'oro, che ha superato quota 1.300 dollari l'oncia, aggiungendo così alla sua appetibilità, oltre alla qualità di bene rifugio, anche quella di bene speculativo in rialzo. Nel 219 il prezzo dell'oro ha superato quota 1.300 dollari l'oncia e attualmente si attesta intorno a 1.320 dollari l'oncia.
A Londra, dove si fissa il prezzo due volte al giorno, vengono scambiate circa 500 tonnellate di oro ogni 24 ore. A causa di questo limitato turnover giornaliero, il mercato dell'oro e di conseguenza il suo prezzo è particolarmente sensibile a qualsiasi forte transazione. Se dunque una grande banca centrale dovesse decidere di mettere in vendita una grande quantità delle sue riserve auree, il prezzo ne risentirebbe fortemente, al ribasso.