Secondo giorno di perquisizioni negli uffici di Francoforte di Deutsche Bank. Le accuse sono pesanti: riciclaggio di denaro sporco attraverso la creazione di società nei paradisi fiscali. Le operazioni sotto inchiesta sono iniziate nel 2013 e sono state eseguite dalla divisione gestione patrimoniale della banca, un'unità che nel 2015 è passata sotto la responsabilità di Christian Sewing, dallo scorso aprile amministratore delegato. Le notizie hanno spinto le azioni dell'istituto a chiudere in ribasso di oltre il 3%. Da quando Sewing è alla guida del gruppo, Deutsche Bank ha bruciato il 28% della sua capitalizzazione di mercato, un crollo legato anche alla debolezza della sua posizione patrimoniale, constatata anche dagli ultimi stress test della Bce, e dalla mai sopita preoccupazione per i rischi sistemici derivanti dai 42 mila miliardi di dollari di derivati nella pancia dell'istituto, una cifra pari a sedici volte il Pil della Germania.
Nel mirino degli investigatori della Procura federale ci sono due dipendenti della divisione gestione patrimoniale del colosso finanziario di Francoforte, i quali sarebbero ancora al loro posto. L'indagine rientra nel quadro dell'inchiesta sui Panama Papers: si ipotizza infatti che la banca "abbia aiutato alcuni clienti a creare società off-shore nei paradisi fiscali" allo scopo, appunto, di riciclare denaro. Denaro di origine criminale, trasferito su vari conti della Deutsche Bank senza che sia stata denunciato alle autorità preposte alcun sospetto sull'origine irregolare delle somme. Solo nel 2016, una società legata alla banca con sede alle Isole Vergini, avrebbe gestito ben 900 clienti per un volume d'affari complessivo di 311 milioni di euro.
C'è del marcio in Danske Bank
A rendere ancora più grave l'impatto della nuova inchiesta è che quest'ultima si somma alle indagini già in corso su Danske Bank. La filiale estone della banca danese è indagata dal dipartimento di Giustizia, che la accusa di aver riciclato miliardi di dollari a favore di operatori russi impegnati in attività illecite. Dei 230 miliardi di dollari di transazioni sospette, secondo gli inquirenti, circa la metà sarebbe passata - fino al 2013 - attraverso Deutsche Bank, che avrebbe fatto da sponda a Danske Bank per convertire i fondi potenzialmente sospetti in dollari ed euro. Secondo Bloomberg, i manager della divisione statunitense di Deutsche Bank sono già stati contattati dalle autorità americane, alle quali dovranno dimostrare di aver collaborato in buona fede con l'istituto danese.
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Lo scandalo Libor
Per Deutsche Bank il danno d'immagine è solo l'ennesimo. Nel 2015 la banca era stata investita dallo scandalo Libor, relativo alla manipolazione fraudolenta dei tassi di riferimento sui mutui immobiliari. I vertici di allora furono costretti a dimettersi e il conto di multe e risarcimenti superò i due miliardi e mezzo. Il 2015 si chiuse con una perdita netta di 6,8 miliardi di euro. Le conseguenze dello scandalo andarono ben oltre l'esborso. Il caso fu un colpo durissimo per la credibilità di una compagnia che era sempre stata tra i simboli dell'affidabilità tedesca. Il risultato fu una fuga degli azionisti.
La capitalizzazione di mercato, che all'inizio del 2015 superava i 40 miliardi di dollari (cifra già pari a meno di un millesimo dell'esposizione a derivati), sprofondò fino a toccare un minimo di 15,7 miliardi di dollari nel settembre 2016, mese nel quale il dipartimento di Giustizia Usa chiede il pagamento di una sanzione da 14 miliardi di dollari (successivamente ridotta della metà) per irregolarità nella vendita di obbligazioni garantite da mutui. Il titolo in borsa avrebbe risalito la china solo al prezzo di una ristrutturazione dolorosissima, costata migliaia di posti di lavoro.