Le startup del foodetch europeo (il settore che fonde tecnologia e agroalimentare) hanno raccolto 6,5 miliardi di dollari tra il 2013 e il 2018. Il settore continua a crescere, anche se gli investitori sembrano concentrati (fin troppo?) sulle piattaforme per la consegna di cibo a domicilio. Nelle loro casse è finita metà delle risorse. Sono i dati che emergono dal report “The State of European Food Tech 2018” di Five Seasons Ventures (società con sede a Parigi e Bologna) e Deal Room.
Com'è messa l'Italia
L'Italia è riuscita ad attrarre solo l'1% dei capitali del settore. Un dato, coerente con il venture capital nel suo complesso, che conferma il problema trasversale della scarsità di risorse. La Germania, grazie alla presenza di un attore forte come Delivery Hero e alla sua politica espansionistica, vale il 45%.
La Gran Bretagna, dove hanno sede Deliveroo e Just Eat, per una volta non è in testa (26%). Al terzo posto la Francia, con l'8%. L'Italia, al netto dei pochi dollari, dimostra però di avere un mercato foodtech vivace. Negli ultimi sei anni il 9% dei round ha interessato imprese del nostro Paese: davanti ci sono solo Gran Bretagna (con il 20%), Francia (17%),
Germania e Spagna (entrambe al 12%). Il foodtech riesce quindi a mettere insieme percentuali più cospicue rispetto alla media generale. Quel 9%, infatti, “spicca” - afferma il report – rispetto al dato generale, che si ferma al 4% dei round europei.
La forza della Cina
Il foodtech globale si conferma in crescita anche nel 2018. Gli investimenti in venture capital hanno toccato i 14,3 miliardi, superando già da ora l'intera raccolta del 2017. Merito, tra le altre cose, del mega-round da 3 miliardi della cinese Ele.me, sempre nel food delivery. Il settore ha creato 35 unicorni (società con una valutazione superiore ai 100 miliardi di dollari). La distanza tra Europa e Stati Uniti è meno marcata rispetto ad altri comparti. I nove unicorni europei valgono in tutto 30 miliardi, contro i 43 dei dieci colleghi statunitensi. C'è però un altro mercato che domina ed è quello asiatico: tra agricoltura e consegne a domicilio, gli unicorni dell'est hanno una valutazione di 83 miliardi.
Il peso del food delivery
Anche se non mancano successi nell'e-commerce e nella ristorazione (Brewdog), la popolazione degli unicorni europei è fatta soprattutto di piattaforme che consegnano cibo: Delivery Hero (che controlla anche il marchio Foodora), Deliveroo, JustEat, Takeaway.com ed HelloFresh hanno attirato quasi metà dei capitali (3,1 miliardi di dollari) e due terzi del valore. Sono ancora società relativamente giovani, ma al momento hanno valorizzato gli investimenti iniziali e retto l'impatto con la borsa.
Delivery Hero valeva 4,4 miliardi al momento della quotazione e adesso ne vale 8. Just Eat è passata da 1,4 a 6, Takeaway.com da 1 a 3. Eppure, il report sottolinea un'anomalia: metà degli investimenti si concentra in un settore che vale l'1,5% del mercato al consumo (ristoranti, supermercati, alcolici). Se quindi il food delivery ha saputo creare imprese da 21 miliardi (solo per rimanere agli unicorni ed escludendo le più piccole), altrove ci sono spazi molto superiori: 20 volte tanto nella ristorazione e 37 volte nella grande distribuzione, dove la spesa online pesa ancora poco, circa il 6%. Potenzialità nelle quali si stanno tuffando non solo le startup ma anche i gruppi consolidati, da Coca-Cola a Walmart, da Carrefour a Nestlé.
Europa, un ecosistema “solido”
Alle spalle del club dei 100 miliardi, spinge una nuova generazione di startup foodtech. Che, secondo il rapporto, hanno già raccolto miliardo nel 2018. Si tratta di società che coprono l'intera filiera: produzione (Tropic Biosciences, ecoRobotix, Infarm), trasformazione (Huel, Allplants, Mosa Meat) e soprattutto distribuzione (Glovo, Picnic, Kolonial.no). Lo studio indica quindi l'esistenza di un ecosistema europeo “solido”. Sia i grandi gruppi tradizionali che le (ex) startup stanno conducendo forti campagne di acquisizione. E ai venture capital generalisti che esplorano l'agroalimentare si sono affiancati investitori, incubatori e acceleratori di settore.