Le vendite dei titoli del debito pubblico, legate all'aumento dello spread, mettono sotto pressione le banche italiane. Lo spiega un lungo articolo del Financial Times, nel quale si ricorda che gli istituti di credito italiani detengono 387 miliardi di euro di debito sovrano nazionale (secondo i dati della Banca centrale europea), il che li rende "fortemente esposti" poiché i costi di finanziamento del Paese "sono sui massimi da cinque anni".
Filippo Alloatti, senior credit analyst di Hermes sentito dal Ft, spiega che le banche italiane sono "super lunghe" sul debito pubblico sovrano, il quale rappresenta "tra il 13 e il 15 per cento del loro patrimonio complessivo". "Se i rendimenti più elevati persistono, le banche saranno costrette a riprezzare le loro vaste riserve di titoli di Stato e a cercare nuove fonti di capitale", aggiunge.
Tale pesante esposizione, secondo il Ft, ravviva lo spettro del "doom loop" ("circolo vizioso"), che è la definizione usata per rappresentare il legame tra debito pubblico e debito degli istituti finanziari, cioè la zavorra dei titoli di Stato che sta affondando le banche italiane.
"L'attuale crisi mette sotto i riflettori il forte legame tra le banche italiane e il debito sovrano", spiega al Ft Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro italiano. I titoli delle banche sono stati dissanguati da quando il governo gialloverde italiano si è formato in primavera. Le azioni Intesa e UniCredit hanno perso più di un quarto del loro valore in un anno. Lo spread è volato sopra quota 300. Il governo non intende fare marcia indietro sul bilancio in deficit e non indietreggia nella sua dura polemica con Bruxelles.
"Uno spread sopra 400 punti è insostenibile"
Carlo Tomaselli, analista di Credit Suisse, è scettico sulla posizione del governo Conte e avverte: "Uno spread sopra ai 400 punti base non è sostenibile". Tomaselli stima che un allargamento dello spread di 200 punti rispetto alla fine di giugno ridurrebbe il Tier1, il capitale di maggior pregio della banche, un parametro chiave della solidità di bilancio, in media dal 12,5% all'11,9%. Marina Brogi, dell'Università La Sapienza di Roma, è meno pessimista e ritiene che la situazione è meno grave del 2011, quando i costi di indebitamento dell'Italia salirono ai massimi post-crisi. Tuttavia Alloatti è preoccupato e spiega che se gli spread dovessero rimanere ai livelli attuali, le banche continuerebbero ad affrontare una crisi al rallentatore, dato che il loro costo del finanziamento aumenterebbe.
"Se tra un mese - dice - la differenza tra il Btp e il Bund si restringerà, stiamo a posto e potremo goderci una vacanza sugli sci, ma se gli spread rimangono al livello attuale, ci troveremo di fronte allo scenario peggiore: il credit crunch, la stretta creditizia". Per Codogno le banche "non avrebbero altra scelta" se non quella di ridurre i prestiti ai consumatori e alle imprese, il che metterebbe in pericolo la ripresa. Una crisi italiana, secondo il Ft, avrebbe un effetto contagio sulle economie vicine e in primis sulla Grecia, sebbene il Governatore della Banca di Grecia, Yannis Stournaras, escluda che le banche greche possano vedere una fuga di depositi simile a quella del 2015. Il Financial Times nota poi che un effetto contagio da parte della crisi delle banche italiane metterebbe sotto pressione la Bce, che, proprio per far fronte al timore di una crisi italiana, ha "dovuto ritardare la fine del suo massiccio programma di acquisto di titoli sovrani detto Quantitative easing".
Gli alti funzionari della banca centrale insistono sul fatto che intendono iniziare a liquidare il Qe entro la fine dell'anno, ma aggiungono che stanno monitorando attentamente la situazione in Italia. Il cane da guardia bancario della Bce - il Meccanismo di vigilanza unico - ritiene che l'allargamento dello spread tra Btp e Bund potrebbe costringere le banche italiane a ricercare sul mercato liquidità extra. Tali preoccupazioni, ricorda il Ft, sono state espresse anche dal vice direttore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini, in un'audizione parlamentare martedì. La preoccupazione per le banche è che "se le condizioni di mercato non miglioreranno nei prossimi mesi, è probabile che tali aumenti di capitale saranno come minimo difficili da ottenere ed estremamente costosi".