Il problema non è il numero di posti persi. Il problema è come saranno quelli rimasti. Perché la guida autonoma non è solo un robot che mette le mani sul volante: è una tecnologia capace di cambiare interi settori. A partire dal trasporto su gomma. Secondo un rapporto di Steve Viscelli, sociologo dell'Università della Pennsylvania, i tir autonomi potrebbe costare 294.000 posti di lavoro. A farne le spese sarebbero soprattutto i camionisti che coprono lunghe distanze, che negli Stati Uniti sono circa due milioni. Niente impiego, quindi, per un lavoratore su sette. Sono molti, certo. Soprattutto perché dietro a ogni numero ci sono altrettante persone e le loro famiglie. Ma l'impatto è meno significativo rispetto a stime precedenti.
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Per Viscelli, però, c'è altro. Senza interventi legislativi appropriati, il problema non riguarderà solo i lavori evaporati: quelli che rimarranno avranno paghe più basse e meno salvaguardie. Negli Stati Uniti, infatti, sono i camionisti di lungo raggio a guadagnare di più e ad avere contratti più solidi.
Uno scenario
Il report disegna uno scenario in cui il trasporto “umano” copre i primi e gli ultimi chilometri. Cioè il percorso che va dai magazzini alle zone di interscambio e da queste ultime fino al punto di consegna. Le zone di interscambio sono aree dove arrivano e da dove partono i tir autonomi. Che così coprono i lunghi viaggi autostradali senza impelagarsi nel traffico locale. Questi tratti resteranno nella mani degli umani. Ecco perché la stima sui posti di lavoro persi è più bassa: la guida autonoma non toccherà tutta la filiera.
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Ci saranno però condizioni peggiori. Perché, come già avviene oggi, chi guida nei primi e negli ultimi chilometri (fattorini compresi) ha una busta paga (in media, circa 36.000 dollari l'anno) dimezzata rispetto a chi percorre lunghe distanze (60-69.000 dollari). In questo scenario, quindi, i camionisti più pagati sono i più a rischio. E chi non perderà il lavoro avrà incassi minori, lunghi periodi di attesa non retribuita, contratti da fornitori, obbligo di usare il proprio veicolo. Spesso alle dipendenze di piccole compagnie che vivono grazie all'appalto di poche grandi piattaforme.
È la “uberizzazione” del settore. La digitalizzazione dovrebbe far bene ai bilanci delle compagnie, limitando al minimo i percorsi inutili (senza carico) e rendendo il trasporto più efficiente. Tuttavia, afferma il report, questi vantaggi potrebbero non arrivare nelle tasche dei lavoratori. Il nuovo tessuto del settore, spingerà la concorrenza. Premendo al ribasso sugli stipendi. “Il vero rischio dei camion autonomi – afferma Viscelli - non è che non ci saranno abbastanza posti di lavoro negli Stati Uniti, ma che non saranno abbastanza buoni”.
Le possibili contromisure
Come se ne esce? Guidando e non subendo questa trasformazione. Viscelli, che per studiare il settore ha anche fatto il camionista per alcuni mesi, avanza una serie di proposte. Diventa decisivo salvaguardare i lavoratori. Con maggiori garanzie per chi non ha un contratto da dipendente e promuovendo politiche attive che si occupino di formazione e protezione nei periodi di inattività. Nella lunga percorrenza, pochi camionisti esperti potrebbero fare da locomotiva per grandi convogli di veicoli autonomi. Sarebbe un risparmio per le compagne, perché avrebbero un responsabile in grado di intervenire in caso di emergenza. Per tutelare chi copre i primi e gli ultimi chilometri, invece, dovrebbero esserci programmi che incentivino le assunzioni. Proposte e non proteste contro la tecnologia: la guida autonoma è qui per rimanere.