"È normale che Autostrade debba mettere i soldi ma è altrettanto normale che non possa essere Autostrade a ricostruire, deve esserci il sigillo, il collaudo e il progetto dello Stato". Nel giorno in cui il Ministero delle Infrastrutture pubblica sul suo sito, senza più omissis, le convenzioni di concessione autostradale con tutti gli allegati e i piani finanziari finora coperti da segreto, il responsabile del dicastero, Danilo Toninelli, spiega che il ruolo della compagnia controllata dai Benetton nella ricostruzione del Ponte Morandi si limiterà al contributo economico.
"Che Autostrade debba ricostruire il ponte è scontato in termini risarcitori. Autostrade - ha spiegato Toninelli a Radio Anch'Io - aveva per termini di convenzione e di contratto con lo Stato l'obbligo di mantenere le infrastrutture di cui era formalmente proprietaria per la durata della concessione diretta che lo Stato gli aveva dato. Dovrà quindi risarcire il danno sull'autostrada, quelli causati dal crollo, gli immani danni morali, civili che ha arrecato alle famiglie delle vittime, alle case, alle imprese, ai cittadini. Autostrade metterà i soldi ma il ponte lo ricostruiamo noi".
La ricostruzione a Fincantieri e Cdp
Il governo, ha chiarito Toninelli, respingerà quindi il piano di ricostruzione del ponte Morandi che sarà presentato da Autostrade per l'Italia. Affidare la ricostruzione a Fincantieri e Cdp, ha aggiunto, "non è una decisione mia, è una decisione del Governo che è compatto sul non permettere più a privati di speculare utilizzando risorse pubbliche". Per il ministro consentire ad Autostrade di ricostruire il ponte "sarebbe una follia, sarebbe irrispettoso nei confronti dei familiari delle vittime. Ma che senso di sicurezza potremmo dare a far costruire il ponte a chi l'ha fatto crollare?".
"La politica ha svenduto l'interesse pubblico"
Toninelli poi torna alla carica su Facebook con un post nel quale sottolinea la portata dell'operazione trasparenza che ha portato alla pubblicazione integrale di documenti secretati da 20 anni. Con la pubblicazione delle convenzioni, scrive il ministro, "ci si renderà davvero conto di come la politica abbia svenduto l'interesse pubblico sull'altare di un capitalismo di relazione che ha alimentato i fatturati dei privati e, dall'altra parte, le casse dei partiti. Tutto ciò mentre le imprese normali combattono con la burocrazia e magari aspettano sei mesi o persino uno-due anni per i pagamenti da parte della Pubblica amministrazione".
"Finora", prosegue Toninelli, "era abbastanza facile poter leggere le sole convenzioni, ma con il Governo del cambiamento finalmente tutti potranno consultare anche gli altri allegati e i tanto discussi piani economico-finanziari (Pef), in cui si riporta la correlazione (sballata) tra incrementi tariffari e investimenti, il famigerato 'parametro K'. Ci si potrà fare un'idea del rapporto, totalmente sbilanciato a favore dei concessionari, tra pedaggi incassati e interventi realizzati per la manutenzione ordinaria e straordinaria".
"Stiamo cambiando tutto"
"Stiamo cambiando tutto. Stiamo smontando un sistema ciclopico che sembrava granitico. Un sistema malato, fatto di connivenze, di complicità tra vecchia politica e grandi potentati economici. Un sistema costruito alle spalle e alla faccia dello Stato, dell'interesse pubblico, dei cittadini, della loro sicurezza, del loro comfort, delle loro tasche", scrive ancora Toninelli, "stiamo togliendo loro la mucca da mungere. La gallina sta smettendo di fare le uova d'oro a beneficio di pochi. La trasparenza è il primo passo. Ma non ci fermeremo qui".
"Stiamo parlando di infrastrutture che rappresentano monopoli naturali e che sono state gestite da privati alla faccia di ogni sano criterio di concorrenza e di mercato. Stiamo parlando di opere costruite per lo più negli anni '60 e '70, il cui ammortamento (sui costi) si è in gran parte compiuto negli anni '90. Opere sulle quali, oggi, bisognerebbe viaggiare con tariffe molto basse o addirittura gratis, come avviene in grandi Paesi quali Germania o Gran Bretagna (sì, proprio la Gran Bretagna che ha privatizzato tutto, vede le autostrade in mano pubblica)", prosegue il ministro, "altro che giusta remunerazione del capitale investito. Qui parliamo di colossi, i concessionari, che hanno margini operativi giganteschi rispetto ai fatturati. Roba che possono sognarsi persino le grandi dotcom della Silicon Valley. Pensate che nel 2016 questi signori hanno fatturato quasi 7 miliardi. Di essi, 5.7 miliardi derivano dai pedaggi autostradali. E sapete quanto è tornato allo Stato? Appena 841 milioni. Nel frattempo, sono sempre dati del mio ministero, gli investimenti sono calati del 20% rispetto al 2015 e per la manutenzione si sono spesi appena 646 milioni, il 7% in meno rispetto all'anno prima".
Citando l'esempio di Autostrade per l'Italia, il ministro ricorda che "nel 2017 ha avuto quasi 4 miliardi di ricavi e un Ebitda (grossomodo equivalente al Margine operativo lordo, in pratica i guadagni prima di pagare tasse, interessi, svalutazioni e ammortamenti) di quasi 2,5 miliardi. In altre parole, il 62% del fatturato. Roba che Apple o Google si sognano".