Elon Musk non è certo famoso per i suoi modi felpati. E sa usare bene i social network, a volte al limite della liceità. Lo ha fatto anche questa volta: si è presentato su Twitter, martedì 7 agosto, ha scritto “buongiorno” con una faccina accanto. E l'ha sparata: “Sto considerando la possibilità di rendere Tesla privata”. Cioè di ritirarla da Wall Street. E ha fatto anche il prezzo: chi vorrà ricomprare una fetta della casa automobilistica e tenersela al riparo dalle fluttuazioni di borsa, dovrà mettere sul piatto 420 dollari per azioni. A questa cifra, Musk valuta Tesla 71,3 miliardi di dollari, 82 miliardi incluso il debito. Cioè con un premio del 20% all'ultima chiusura precedente alle parole del fondatore.
Musk è sempre divisivo: c'è chi indica la sua mossa come geniale e chi la declassa a irrealizzabile. Intanto però, dopo il tweet e la conferma ufficiale tramite una lettera ai dipendenti (spedita mezz'ora dopo il cinguettio), il titolo ha avuto un'impennata. Ma quali sarebbero i vantaggi di avere Tesla fuori da Wall Street? Ed è davvero una strada percorribile?
Il vantaggi: crescere nell'ombra
In una serie di tweet successivi a quello dell'annuncio, Musk ha spiegato che la volontà di privatizzare non deriva da disaccordi tra gli attuali azionisti. Anzi, ha affermato che si augura che tutti restino in Tesla anche in caso di addio (anzi, di arrivederci) alla Borsa. I motivi di questa mossa a sorpresa sono stati chiariti nella lettera e, forse in modo ancor più incisivo, in un paio di precisazioni social. Il fondatore della società ha parlato di “grande opportunità” e di un modo per evitare “distrazioni” imposte dalle fluttuazioni del titolo.
Su Twitter ha scritto che essere una compagnia privata consentirebbe manovre “più agevoli e meno dirompenti”. E porrebbe fine alla “propaganda negativa” degli short seller. Cioè di chi investe scommettendo sul ribasso di Tesla. Già in passato Musk se l'è presa con questa "propaganda negativa". Anche se lui stesso ha utilizzato (in direzione opposta) la stessa arma. E anche se lo scontro con gli speculatori è stato a volte mescolato con le legittime critiche degli analisti.
Muoversi in maniera più “agevole” significa soprattutto due cose. Primo: non preoccuparsi dell'accoglienza del mercato in un momento in cui la guardia è alta. Nel bene e nel male, al riparo da eccessivi entusiasmi e pessimismi (oltre che dalla speculazione).
Secondo: ridurre i lacci imposti dalla quotazione, soprattutto in tema di comunicazione e trasparenza. Non vuole dire necessariamente che Tesla abbia qualcosa da nascondere. Vuol dire che potrà evitare di svelare, e quindi rincorrere, obiettivi di trimestre in trimestre (come nel caso delle Model 3 prodotte ogni settimana). In questo periodo all'ombra, Tesla potrebbe consolidarsi, superando questa fase di (auspicata) transizione, da nicchia a produttore di massa. E, quando sarà il momento, tornare a riscuotere con una nuova quotazione e un'azienda più matura.
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Realtà o fantasia?
Il Financial Times si è mostrato critico. Non tanto per le intenzioni quanto per la fattibilità del progetto. Musk ha scritto (sempre su Twitter) di avere “garanzie finanziarie” e ha “confermato il supporto degli investitori”. Il via libera non dipende tanto dai soldi (che ci sarebbero) ma “dal voto degli azionisti”. Ma il quotidiano finanziario sostiene che solo “una manciata di investitori nel mondo” potrebbero reggere una spesa del genere. Oltre ai grandi azionisti (T Rowe Price, Fidelity e Baillie Gifford detengono circa un quarto del capitale e Musk un altro 20%), ci sono fondi che non possono muoversi fuori dalla borsa. E saranno quindi costretti a vendere. A questi si aggiungerà chi non vorrà aderire. Questo farà lievitare la quantità di risorse che Musk dovrà raccogliere per l'operazione.
Per il fondatore della compagnia, però, la manovra è possibile. E come esempio di successo cita Dell, il produttore di pc americano privatizzato nel 2013. Tuttavia, sottolinea il Financial Times, il quadro è molto diverso. Dell si è finanziato con un debito imponente, garantito dai solidi flussi derivanti dalla vendita dei pc. Tesla, invece, continua a bruciare cassa. E le risorse che ha in questo momento sono, secondo molti analisti, insufficienti per garantire anche gli attuali piani di sviluppo (tra i quali la costruzione di un mega-impianto in Cina). Tradotto: servono molti soldi. E tra coloro che possono fornirli ci sono pochi grandi soci (attuali o potenziali) e alcuni fondi sovrani. Il Public Investment Fund è tra questi. Il fondo sovrano saudita sarebbe pronto a rilevare una quota tra il 3 e il 5%.
Intanto, da lunedì, Musk dovrà occuparsi delle due denunce per aggiotaggio che sono state presentate proprio in relazione ai tweet con cui martedì aveva annunciato la possibile uscita del gruppo dal listino di Borsa per privatizzarlo. In una delle denunce, Kalman Isaacs sostiene che i tweet erano falsi e fuorvianti per gonfiare il valore del titolo (+13% in poche ore) e il fatto che non siano stati subito corretti ha rappresentato "un attacco nucleare" destinato a decimare i venditori allo scoperto. L'altro ricorrente, William Chamberlain, sostiene invece che Musk ha violato le leggi federali. Le denunce sono state presentate al tribunale di San Francisco. La Tesla non ha voluto commentare la possibile class action a cui va incontro
ma Musk aveva più volte criticato anche su Twitter le vendite allo scoperto che a suo dire hanno penalizzato il titolo.