La decisione Delivery Hero di vendere Foodora Italia arrivata il giorno in cui la Camera ha approvato il Decreto Dignità voluto dal ministro Di Maio ha indotto molti a pensare che le due cose fossero in qualche modo collegate. Ma non è proprio così.
Di Maio ha parlato per la prima volta del Decreto Dignità all’indomani del primo incontro ufficiale fatto al ministero del Lavoro con i fattorini delle società che consegnano il cibo a domicilio (14 giugno). Ha detto poi ai cronisti che avrebbe ridato dignità al lavoro dei fattorini attraverso una serie di tutele che oggi molti di loro non hanno. E che avrebbe cercato un accordo con le aziende.
Il manager italiano di Foodora, Gianluca Cocco, due giorni dopo rilascia un’intervista al Corriere della sera in cui dice che con una misura troppo restrittiva la società sarebbe stata costretta a chiudere in Italia.
A stretto giro arriva la risposta di Di Maio, via Facebook:
“Oggi il managing director di Foodora Italia ha criticato alcuni punti della bozza del Decreto Dignità che riguarda proprio i riders. È giusto che su questo tema ci si confronti pubblicamente e infatti dopo aver incontrato i ragazzi, domani alle 14 al Ministero del Lavoro incontrerò anche i rappresentanti delle aziende, compresa Foodora”.
Società che ha incontrato qualche giorno dopo, al ministero dello Sviluppo economico (18 giugno). Incontro andato bene, dicono, ma che non ha portato ad alcun accordo. E nessun accordo è arrivato dall’ultimo incontro, quello del 27 luglio scorso in cui si sono sentite le proposte delle società, ma ogni decisione è stata rimandata a settembre. Nel decreto approvato il 2 agosto alla Camera infatti non c’è traccia di fattorini né di società di consegna di cibo a domicilio.
Le difficoltà del mercato delle società di food delivey
Ma quali sono le difficoltà di queste aziende? Un elemento lo ha fornito lo stesso amministratore di Foodora. Intervistato da Agi, il 27 luglio Gianluca Cocco aveva ribadito la principale differenza a quel tavolo tra la sua società e le altre: al tavolo infatti le aziende si sono presentate separate in due fazioni:
"La differenza è che noi somministriamo contratti co.co.co. e abbiamo optato per le tutele pubbliche dei riders, come Inail per gli infortuni e Inps per le pensioni. Molte altre società hanno contratti a partita Iva o a prestazione e hanno scelto coperture e fondi privati per la pensione. Noi siamo per le tutele pubbliche, che riteniamo garantiscano meglio i nostri dipendenti".
È in questa differenza di contratti che si gioca buona parte della partita. I costi per Foodora sono alti. E il mercato in Italia è piccolo e pieno di società che se lo contendono, alcune grandi e ben finanziate dalla finanza, altre piccole che cercano di sopravvire (Glogo, Just Eat, Deliveroo, Moovenda, Uber Eat, Social Food, per citarne alcune delle 20 presenti).
Tanti attori in un mercato giovane e non ancora esploso. Quello del digitale vale circa il 10% del mercato delle consegne a domicilio in Italia (stiamo parlando infatti solo delle società che fanno lavorare i fattorini tramite app, dati Deutch Bank), mentre il 90% è in mano alle pizzerie tradizionali. Foodora, insieme a tutte le altre società di food delivery, non genera utili. Sono tutte in perdita, come ha ammesso lo stesso Cocco, e continuano a ‘bruciare’ i soldi delle case madri, che siano a Londra, a Barcellona o a Berlino.
Margini bassi, numeri bassi: aziende in difficoltà
I margini sono molto bassi: circa un euro vanno nelle casse della società su una cena da 30 euro ordinata sulle loro piattaforme, di cui 21 vanno al ristorante, 4 al fattorino, 4 in spese e marketing. Un mercato che potrebbe valere un miliardo di euro (è una delle cifre più ottimistiche) ma con tanti player che fanno pochi margini e senza raggiungere grandi numeri alla lunga la casa madre chiude i rubinetti.
L’Italia è un mercato difficile, ha comunicato la controllante di Foodora, Delivery Hero. Ma non perché in Italia le cose sono difficili a priori, ma perché è difficile scalare un mercato che cresce poco e con troppi attori a contendersi una torta ancora piccina. Foodora fa un passo indietro in Italia, e lo fa anche in Francia e in Olanda, dove ci sono situazioni assai simili spiegano dalla società. Nella lotta per le influenze dei giganti del food delivery, qualcuno prima o poi avrebbe dovuto fare un passo indietro a favore di una società rivale, a cui venderà tutto il pacchetto: clienti, fattorini e zone.
E questa volta la politica forse c’entra poco, ma tutto sembra riconducibile alle particolari dinamiche del mercato digitale.
Twitter: @arcangeloroc