“Credo che nemmeno lui riuscisse a immaginarsi pensionato”. Le prime tre pagine di Repubblica di oggi sono dedicate a Sergio Marchionne, morto il 25 luglio a 66 anni in un ospedale universitario di Zurigo. A scriverle, raccontando di un rapporto consolidato nel tempo, è il direttore del giornale, Mario Calabresi. Un testo che scorre rapido, tra ricordi e aneddoti, tra descrizioni e scambi di battute. Tre pagine in cui emerge l’uomo Marchionne, dedito al lavoro e alla fatica, ma con un’umanità spesso poco sottolineata. E che emerge, prepotente, da queste nove piccole storie.
- La “fame” di un emigrato che cercava riscatto
Come ricorda Calabresi, Marchionne si trasferì dall’altra parte del mondo appena adolescente. Lo fece tra mille difficoltà e limiti, ansie e desideri, con una timidezza che lo bloccava nella sfera professionale e sentimentale.
“Sono arrivato in Canada dall’Abruzzo che avevo 14 anni, parlavo l’inglese malissimo, con un marcatissimo accento italiano. Ci ho messo più di 6 anni a perderlo. Sei anni persi con le ragazze. L’imbarazzo di aprire la bocca mi paralizzava”.
- I dettagli, la sua ossessione
Ma da quel momento in poi l’ex manager di FCA decise di reagire “per non rimanere più paralizzato”. Prese tre lauree e, una volta sbarcato nel mondo Fiat, si dedicò alla sua rinascita con una grande attenzione per i particolari. Era l’unico modo per combattere i giganti tedeschi e dimostrare di essere più caparbio di qualunque ostacolo.
“Le pubblicità del Superbowl erano ogni anno il suo manifesto. Le curava in ogni dettaglio, diventò matto per avere Eminem, poi Clint Eastwood e infine Bob Dylan, il suo cruccio era non aver convinto Bruce Springsteen”.
- La filosofia (e lo spot) perfetta
Il direttore di Repubblica racconta come Marchionne ritenesse uno spot, quello fatto per il lancio di Maserati negli Stati Uniti, il suo lavoro migliore. Era il 2014 e quella, forse, rimane ancora oggi una delle più importanti lezioni su come un’eccellenza italiana potesse alzare la propria voce in una cultura dominante come quella americana
“Siamo circondati da giganti, abbiamo dovuto imparare ad affrontarli e a batterli. Siamo piccoli ma veloci e sappiamo che essere svegli è più importante che essere il ragazzo più grosso del quartiere”.
- L’unica vacanza in 10 anni
Marchionne non staccava mai e chi lavorava con lui spesso raccontava dei ritmi folli a cui veniva sottoposto. Una volta, però, tornò abbronzato alimentando la curiosità di molti collaboratori, amici e giornalisti. Fu lui stesso a spiegare quell’avvenimento inconsueto.
“Un fine settimana a Boston, per vedere da turista l’Università di Harvard e la Kennedy Library. Poi mi sono a leggere un libro su una panchina al sole e mi sono scottato”.
- Il metodo Marchionne tra caricatori e sigarette
La sua era vita passata in viaggio tra aerei da prendere e meeting a cui presenziare. Il manager italo-canadese, secondo la descrizione di Calabresi, si muoveva con uno zainetto e due buste di plastica che contenevano le sigarette, il the freddo, e tre caricatori: uno per la Svizzera, uno per l’Italia e uno per gli Stati Uniti. La sua era una indole maniacale, difficile da emulare. Come la sua passione per la musica: “aveva migliaia di brani che teneva sul Mac, da Keith Jarrett alla Callas”.
Era fissato con il metodo di lavoro. Mai interrompere una riunione finché non era conclusa. Concentrarsi sempre su una cosa e chiuderla. E non distrarsi con i telefoni. Mettere un finto appuntamento in agenda ogni due ore per avere uno spazio dove risolvere i problemi improvvisi
- Meglio la lingua inglese di quella italiana
Con John Elkann, con cui aveva un legame di grande amicizia, non usava quasi mai la lingua italiana. Non era una scelta dettata da un capriccio o da un senso di appartenenza per il mondo anglosassone. Quello che contava davvero, anche in questo caso, erano la convenienza e la rapidità.
Spesso parlavano in inglese tra loro, per fare più in fretta e capirsi. Marchionne era fissato con la velocità: “La lingua italiana è troppo complessa e lenta. Per un concetto che in inglese si spiega i due parole, in italiano ne occorrono almeno sei”.
- Il giudizio su Renzi
Calabresi racconta quanto l’ex premier colpì anche Marchionne. L’uomo che aveva rimesso in piedi la Fiat con politiche coraggiose, forse si rivedeva in quel giovane politico così ambizioso e spavaldo.
Gli piacque Renzi, perché gli sembrava diverso, più dinamico, non ingessato, con un modo di parlare diretto. Pensò che avrebbe davvero cambiato l’Italia. Quando lo vide in difficoltà ragionò che aveva sbagliato a non scegliere i migliori, ma a circondarsi di una schiera di amici fiorentini.
- Il rapporto con Obama e Trump
A differenza di altri, Marchionne teneva buoni rapporti con due presidenti così diversi e fautori di politiche così opposte. Non aveva remore a lodare le scelte e la visione di Obama che avevano portato al rilancio di una città in crisi, ma affamata di riscatto, come Detroit. Ma allo stesso tempo affermava di “capire” Trump.
“Chi non lo capisce non capisce l’americano medio, che non è quello che vive a New York o San Francisco, ma che sta nel mezzo. Quello che è orgoglioso di farti vedere quanto è grande il suo televisore o ti trascina in garage prima del barbecue per mostrarti la macchina nuova. Trump è esattamente quella cosa lì”.
- L’amore per la sorella
Il direttore di Repubblica chiude il pezzo raccontando del loro primo incontro, a New York. Quello che emerge è un Marchionne nostalgico, assai legato alla famiglia. Un uomo attraversato, come tutti, da momenti di vulnerabilità. Momenti che però si dimostravano oltremodo passeggeri e che venivano messi da parte rapidamente. Come se non potessero rubare troppo tempo a chi tempo non ne aveva.
Mi parlò della sua infanzia e delle nostalgie che aveva di suo padre, di sua madre e degli studi di filosofia. Ma soprattutto della sorella Luciana che amava tantissimo, morta a 32 anni di cancro. Mi raccontò di quando accompagnò per l’ultima volta il figlio di lei all’ospedale per salutare la mamma. Si commosse e smise di parlare per un po’. Poi cambio discorso e ordinò una bottiglia di vino e due bistecche