Con il dossier pensioni del governo Lega-Cinque Stelle si avrebbero da subito 750 mila pensionati in più. L’allarme lanciato dal presidente dell’Inps Tito Boeri durante la sua relazione annuale del 4 luglio divide Salvini e Di Maio, che devono convincere sulla sostenibilità dell’introduzione della “quota 100”.
Il governo vorrebbe attivare fin dal 2019 la possibilità di andare in pensione a 64 anni di età con 36 anni di contribuzione, e così superare la legge Fornero, promessa centrale della campagna elettorale. Ma i conti, per Boeri, non tornano, almeno per quanto riguarda le fasce d’età coinvolte e la forza lavoro attualmente impiegata.
Quanto costerebbe 'la quota 100'
Stando ai calcoli dell’Inps una simile misura costerebbe 4 miliardi dal primo anno, più 8 miliardi a regime. Spesa che salirebbe a 18 miliardi l’anno (11 miliardi solo il primo), se si realizza anche la “quota 41”, che introduce la pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età (su quest’ultima il governo ha fatto intendere che se ne riparlerebbe in una seconda fase).
Il primo stop era arrivato dal ministero del Tesoro che, conti alla mano, aveva bocciato l’interpretazione estesa della “quota 100”: la somma dell’età e degli anni di contributi (per esempio 60 anni con 40 anni di contributi), unita all’attuazione della “quota 41”, costerebbe alle casse dello Stato 20 miliardi. Troppi anche per l’economista in quota Lega, Alberto Brambilla, che ha prodotto la controriforma che vincola la “quota 100” ad almeno 64 anni di età. In aggiunta, come spiega Repubblica, “chi vorrà utilizzare questo anticipo, dovrà rinunciare a qualcosa.
Come potrebbero cambiare le regole
Se nel 1995, anno della riforma Dini, il lavoratore aveva almeno 18 anni di contributi, e quindi ha potuto godere fino al 2011 del sistema retributivo, gli verrà ricalcolata la pensione sulla base del sistema contributivo (cioè in base ai contributi versati) per il periodo tra il 1996 e il 2011. Quindi subirà una decurtazione. Infine, viene posto un limite di due anni ai contributi figurativi che entrano nel calcolo. Tutte queste limitazioni ridurranno la spesa dai 20 miliardi iniziali a 5.
Ma in Italia ci sono due pensionati ogni tre lavoratori - ha spiegato Boeri -, e stando ai conti del Fondo Monetario Internazionale, potremmo arrivare entro il 2045 a un pensionato per ogni lavoratore. Per questo il presidente dell’Inps vede nell’immigrazione (regolare e strutturata) la possibile soluzione alle coperture del sistema pensionistico. “Gli italiani sottostimano la quota di popolazione sopra i 65 anni e sovrastimano quella di immigrati e di persone con meno di 14 anni. La deviazione fra percezione e realtà è molto più accentuata che altrove. Non sono solo pregiudizi. Si tratta di vera e propria disinformazione. Il nostro Paese ha bisogno di aumentare l’immigrazione regolare”, ha spiegato.
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Boeri ha evidenziato che nel lavoro manuale non qualificato “ci sono il 36 per cento dei lavoratori stranieri e l’8 per cento degli italiani”, e che “la storia ci insegna che quando si pongono forti restrizioni all’immigrazione regolare, aumenta l’immigrazione clandestina e viceversa: in genere, a fronte di una riduzione del 10% dell’immigrazione regolare, quella illegale aumenta dal 3 al 5%. In presenza di decreti su flussi del tutto irrealistici, la domanda di lavoro immigrato si riversa sull’immigrazione irregolare. I dati sono la risposta migliore, perché non c’è modo di intimidirli”.
Di Maio in difesa di Boeri
La posizione di Boeri è da tempo invisa alla Lega, che al vertice dell’Inps vorrebbe mettere uno dei suoi - probabilmente Brambilla -. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è scagliato contro Boeri, chiedendosi se “vive su Marte” e preannunciando cambiamenti ai vertici di certi “apparati pubblici”. A mitigare i toni arriva Di Maio che, come spiega La Stampa, “peraltro è il ministro ‘vigilante’ sull’Inps.
Boeri ha collaborato strettamente col presidente della Camera Roberto Fico sulla stretta ai vitalizi, e sta fornendo l’indispensabile supporto tecnico al ministero del Lavoro per l’operazione di ricalcolo delle ‘pensioni d’oro’”. Nonostante nella relazione di ieri Boeri non abbia evidentemente cercato in alcun modo di assecondare il vento politico, per Di Maio “rimane in carica fino al 2019”, quindi fino alla fine naturale del suo mandato. Purché, chiarisce il ministro al Lavoro e allo Sviluppo economico, “il Parlamento faccia il Parlamento e l’Inps faccia l’Inps”.