Passa per gli investimenti pubblici la crescita economica italiana. Ne è convinto il neoministro dell’Economia Giovanni Tria che, in un lungo articolo pubblicato dal sito Formiche, spiega la sua personale ricetta, insieme all’economista Pasquale Lucio Scandizzo.
Il declino degli investimenti in Europa
“Il fattore chiave in ogni ‘accomodante’ politica di bilancio è l’investimento pubblico”, si legge nell’estratto dell’articolo inedito e in corso di pubblicazione su una rivista economica internazionale. “Attualmente l’investimento è ben al di sotto della parità in quasi tutti i Paesi avanzati, certamente in Europa, in Italia come in Germania”. In quasi tutti i Paesi avanzati “gli investimenti reali, in particolare quelli nell’area dell’euro, hanno rallentato dopo il 2008 e rimangono tuttora inferiori alle medie dei periodi precedenti”. Il problema più grave è che il continuo declino dell’accumulo di capitale è un fattore che “non solo alimenta la mancanza di domanda aggregata ma mina anche la crescita a lungo termine”.
Due facce della stessa medaglia
La stagnazione negli investimenti e nella produttività sono due facce della stessa medaglia, sostiene Tria. Infatti “la creazione di nuovi posti di lavoro associati alle nuove tecnologie, alcune delle quali caratterizzate da un minore rapporto capitale/manodopera, scaturiscono dal tipo di trasformazione strutturale delle economie che richiedono ampi investimenti in infrastrutture di rete, ricerca e istruzione”. Non solo: “Non ci può essere aumento dell’occupazione e della produttività del lavoro, e quindi del reddito, con una crescita nulla o negativa di capitale sociale”.
Va infatti tenuto presente che, “secondo il modello di riferimento standard di crescita economica, nella traiettoria di equilibrio, un livello più elevato di reddito pro-capite è associato ad un livello più elevato di capitale sociale pro capite in tutte le sue forme (includendo cioè anche il capitale umano e il capitale naturale). In queste condizioni, la prospettiva rischia quindi di essere quella di un continuo declino verso salari più bassi e minore produttività, sullo sfondo di una evoluzione che favorisce gli investimenti in sistemi e dispositivi di risparmio di lavoro in settori che utilizzano le nuove tecnologie, soprattutto nell’area dei servizi. Questa tendenza non può che essere controbilanciata dalla creazione di nuovi prodotti e servizi. Ma ciò può accadere solo dove c’è una domanda effettiva da parte del mercato”.
Ripartire dagli investimenti pubblici
Tria esclude che in generale in contesti simili la crescita possa essere affidata a investimenti privati. “Non vi è alcun motivo per cui gli investimenti privati dovrebbero prevalere senza la parallela aspettativa di un forte aumento degli investimenti produttivi guidati da innovazione, guadagni di produttività e rendimenti attesi più elevati sul capitale che consentono più occupazione e redditi”.
Ed “è improbabile che ciò avvenga nell’ambito del piano Junker a livello europeo”. Una soluzione allora potrebbe essere quella secondo cui “ogni Stato membro dovrebbe cercare di prevedere il proprio investimento pubblico alla luce del mercato europeo, o addirittura globale, cercando di attirare significativi finanziamenti privati a livello globale attraverso la garanzia di rendimenti più sicuri a lungo termine. In questi termini, e per questi scopi, anche un temporaneo aumento del deficit destinato a far partire questi programmi dovrebbe essere considerato accettabile.
Il (non) nodo del deficit
Per Tria “un vasto programma di investimenti pubblici infrastrutturali potrebbe essere attuato e finanziato in deficit senza creare un problema di sostenibilità dei debiti pubblici attraverso un finanziamento monetario palesemente condizionato a livello europeo. Condizionato in quanto temporaneo e soggetto a solidi comportamenti fiscali da parte degli Stati membri dell’eurozona volti a perseguire la riduzione del debito. Questo obiettivo sarà più facilmente raggiunto grazie all’aumento del PIL nominale, che è lo scopo specifico del programma. Molti dettagli tecnici del programma, e le sue esigenze condizionali, possono essere progettati in modo adeguato con il concorso degli altri governi e delle istituzioni europee”.
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Superare la mancanza di capacità operativa del pubblico
Tuttavia, almeno in Italia, “vi è certamente un serio ostacolo al perseguimento di questo programma di investimenti pubblici: il progressivo deterioramento della capacità del settore pubblico di progettare ed eseguire progetti di investimento, sia a livello di governo centrale che locale”. Gli anni Ottanta, osserva Tria, “hanno visto forse l’ultimo tentativo di un programma di investimenti pubblici basato su un’analisi costi-benefici estesa ed approfondita, (il cosiddetto FIO, o “fondo investimenti per l’Occupazione”).
La mancanza di capacità operativa nella progettazione, analisi e valutazione degli investimenti “è di per sé il risultato di una mancanza di investimenti nella costruzione di capacità nel settore pubblico. Una politica miope che è stata perseguita con notevole costanza, e che ci lascia oggi a contarne i costi. Ma non è affatto una tendenza irreversibile, e dovrebbe invece essere il fulcro di una riforma complessiva del settore pubblico”.