Compie 10 anni la “Sant’anna Bio Bottle”, la prima bottiglia di acqua minerale da 1,5 litri, ossia nel formato più venduto, completamente biodegrabile. A lanciarla a fine 2008 l’azienda piemontese “Fonti di Vinadio Spa”, indissolubilmente legata al marchio “Sant’Anna”, leader nel settore delle acque minerali. “Siamo stati pionieri – ricorda il presidente Alberto Bertone – e allora pensavamo che altri ci avrebbero seguiti, invece continuiamo ad essere stati gli unici a proporre questo prodotto , realizzato in bioplastica con un particolare biopolimero che si ricava dalla naturale fermentazione degli zuccheri contenuti nelle piante”.
Nel suo ufficio di Torino, seduto ad un tavolo in cui sono esposti i diversi prodotti che in poco più di 20 anni hanno portato l’azienda cuneese ad entrare nella classifica top 25 nazionale delle maggiori aziende del food & beverage, Bertone, 52 anni, dal 1996 presidente ed amministratore delegato della società, racconta la sua avventura fatta anche da intuizioni come appunto quella legata ad una politica imprenditoriale che punta sempre più all’ecosostenibilità. Un’avventura, la sua, ora descritta anche nel libro “I custodi della sorgente”, scritto con il giornalista Adriano Moraglio, per le edizioni “Rubettino”.
Come nasce l’azienda “Fonti di Vinadio?
Nasce per un’intuizione di mio padre, Giuseppe Bertone, imprenditore edile che da tempo aveva deciso di diversificare la propria attività anche nel settore del food & beverage. Nel 1995 viene a conoscenza della qualità superiore dell’acqua che sgorga nelle valli sopra Vinadio. Decide quindi di entrare nel settore delle acque e, in breve tempo, mi coinvolge, nonostante io fossi allora molto riluttante in quanto avrei voluto percorrere la carriera nell’edilizia di mio papà. Quasi una sfida, quella che mi propone, che io da vero ‘leone ascendente leone’ decido di accettare. E in poco tempo questa avventura diventa la mia vita e i risultati arrivano. Se mi guardo indietro posso dire che è stata la mia ignoranza, ossia la non conoscenza di questo settore a consentire di buttarmi in questo modo in un business che non conoscevo e che già allora era praticamente tutto in mano alle multinazionali”.
Come si colloca, oggi, l’azienda nel panorama nazionale ed internazionale?
Siamo l’unico marchio nel settore delle acque minerali ad essere italiano al 100% e proprietà di un’azienda familiare. Negli anni la nostra è stata una crescita costante: nel 2017 il gruppo ha chiuso con un fatturato di circa 300 milioni di euro, e vendite per 1,1 miliardi di pezzi venduti tra bottiglie di acqua minerale e bevande, the freddo e mix di frutta e verdura.
Quanto ha contato nella vostra crescita aziendale l’attenzione all’ecosostenibilità?
Moltissimo. Come racconto anche nel mio libro, già nel 2008 ero convinto che occorresse trovare un’alternativa all’utilizzo della plastica anche nel consumo di acqua minerale. Venuto a conoscenza del lavoro che stava portando avanti un’azienda americana, la Natureworks, nel realizzare un biopolimero 100% vegetale e commercializzato con il nome di Ingeo, decido di tentare questa avventura. Anche in questo caso, come molte volte mi è capitato , capisco poco della materia, non ho molte conoscenze, ma voglio realizzare questa idea. In realtà poi le difficoltà non sono mancate, nell’introdurre sul mercato la biobottle, c’è stato un certo scetticismo da parte della grande distribuzione. E forse anche per questo fino ad oggi siamo stati gli unici a muoverci in questa direzione.
Pioniere dunque anche nella lotta alla plastica?
In un certo senso, io ho cannibalizzato la plastica anche se sono convinto che questo materiale con le giuste politiche di riciclo potrebbe diventare una grande risorsa. Sarebbero necessarie leggi che impongono il giusto riciclo, anche dal punto di vista economico. Allo stesso modo ci vorrebbe una legislazione che obblighi, ad esempio, la grande distribuzione ad avere una quota di prodotti ecosostenibili sui propri scaffali. E’ facile abbracciare battaglie che, specie per quanto riguarda l’ambiente, rischiano di essere molto ideologiche ma forse con un atteggiamento più razionale si potrebbero ottenere maggiori risultati ed aiutare chi si impegna realmente in questo campo, a partire dalle imprese.
E dopo la bio bottle avete pensato ad altri prodotti ‘no plastica’?
Abbiamo realizzato anche l’etichetta della bottiglia in materiale biodegrabile e ora stiamo studiando di fare lo stesso anche con il tappo e il collarino, ultimi step per arrivare al primo pack del settore 100% biodegrabile. Inoltre, stiamo studiando il cosiddetto ‘fardello invisibile’ , ossia sostituire la plastica che avvolge le confezioni da sei bottiglie con un semplice filo di raccordo in materiale biodegrabile , in grado di abbattere notevolmente il consumo di materiali da smaltire. Allo stesso tempo abbiamo cercato di organizzare lo stabilimento e il lavoro all’insegna di questa filosofia. Lo stabilimento di Vinadio è stato, infatti, ristrutturato con scelte architettoniche ecocompatibili con l’ambiente , con materiali di legno e pietra e, ad esempio, il magazzino e tutta la movimentazione delle merci sono gestiti da robot a guida laser elettrici e sono stati introdotti robot fasciatori che consentono un risparmio consistente di plastica negli imballi. E’ un impegno cresciuto sempre più in maniera convinta, tanto da coinvolgere anche i fornitori. Con i partner della logistica, ad esempio, abbiamo inserito nell’ultimo anno 11 mezzi LNG, molto più ecologici del normali Tir. E’ un aspetto che si può sempre migliorare. In generale, ritengo sia necessario fare crescere ancora di più una cultura su questi temi affiancata però da una giusta legislazione.
Per i prossimi anni quali obiettivi vi proponete?
Ci stiamo guardando attorno, soprattutto all’estero per continuare a crescere. E lo stabilimento, come dico nella chiusura del libro, “sarà sempre più tecnologicamente avanzato, con un obiettivo sopra tutti: arrivare nel giro di cinque-sei anni a sostituire interamente le bottiglie in plastica con la nostra bio-bottiglia. Un gesto d’amore verso l’ambiente”.