Questa mattina uno dei principali filoni battuti dai retroscenisti dei quotidiani ha riguardato le ragioni della pausa di riflessione che Sergio Mattarella si è preso prima di conferire un eventuale incarico a Giuseppe Conte, designato da Lega e Movimento 5 stelle come premier del governo giallo-verde. Numerosi sarebbero i dubbi del Quirinale sulla squadra di governo presentata da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Alcuni sono piuttosto ovvi: facile capire perché il Colle possa non voler vedere alle Infrastrutture quella Laura Castelli che entrò in Parlamento con il fazzoletto dei No Tav al collo e deliziò l'Aula con il gesto dell'ombrello dopo essersi espressa sulla ratifica dei trattati Italia-Francia. Così come è naturale che, per placare le ansie di Bruxelles, Di Maio e Salvini siano pronti a compromessi sorprendenti (secondo il Corriere, nell'esecutivo potrebbe entrare nientemeno che Enzo Moavero Milanesi, ex ministro degli Affari Europei del governo Monti). Suscita invece più discussioni la tesi secondo la quale il veto di Mattarella si concentri sulla possibilità che al ministero dell'Economia arrivi Paolo Savona, ex direttore generale di Confindustria e ministro dell'Industria del governo Ciampi, lunghi anni a fianco di Guido Carli, che da ministro del Tesoro firmò per l'Italia il trattato di Maastricht.
"Quando a Carli tremò la mano"
L'ottantunenne economista cagliaritano viene definito "euroscettico" e, pertanto, il suo nome rischierebbe di suscitare il panico a Bruxelles. Si tratta di una parziale semplificazione. Affermare che l'ingresso nell'euro del nostro Paese fosse stato prematuro, oltre a non essere una tesi peculiare nel dibattito economico e accademico, non equivale a propugnare un'uscita disordinata dall'unione monetaria (per una ordinata, secondo Savona, dovremmo essere invece quantomeno pronti). E Savona quei trattati - che l'esecutivo giallo-verde forse chiederà di ridiscutere - li conosce bene. E ne discusse a lungo con Guido Carli, esprimendogli la sua contrarietà quando decise di porre quella firma su regole che Savona giudicava arbitrarie e restrittive.
Quelle idee furono riassunte nel volume del 1996 'L'Europa dai piedi d'argilla'. E quei giorni sono stati ripercorsi nel recente pamphlet 'Quando a Carli tremò la mano', scritto a quattro mani con Carlo Panerai. "Nella vita di Governatore ho messo tantissime firme. Quando ho firmato il trattato la mano mi tremava", è la confidenza di Carli che Panerai sostiene di aver raccolto, "sapevo che era necessario far entrare l'Italia nel vertice dell'Europa, ma sapevo anche che l'Italia non è pronta. Speriamo che lo diventi".
"Non sono un'antieuropeista. Anzi"
Savona ha sempre cercato di respingere l'etichetta di euroscettico, che vede come frutto di un equivoco. "Passo per uno dei pochi economisti istituzionali anti-europeisti, ma non è così", disse in un'intervista a Libero dello scorso anno, "io sarei per l'Europa unita, per questo non posso che dire peste e corna di quello che vedo a Bruxelles. Le difficoltà dell'Ue sono colpa delle élite che la guidano: dicono di interessarsi del popolo ma si occupano solo di loro stesse e non ammetteranno mai il fallimento dell'Europa perché significherebbe autocondannarsi. E questo acuisce i problemi. La mancanza di diagnosi comporta l'assenza di terapia. Le élite italiane hanno voluto questa Europa, sbagliando. Si prendano la colpa o qualcuno gliela attribuisca". Uno smantellamento ordinato dell'unione monetaria, secondo Savona, andrebbe comunque almeno presa in considerazione: "Temo il lento degrado più dello choc forte negativo. L'euro ha portato più svantaggi che vantaggi a tutto il Continente".
L'euro? Un cappio
Normale, però, che a Bruxelles e a Francoforte ci sia chi sudi freddo a rileggere articoli come quello pubblicato nel 2010 sul Foglio. "Anche se si fa finta che il problema non esista, il cappio europeo si va stringendo attorno al collo dell’Italia. È giunto il momento di comprendere che cosa stia effettivamente succedendo nella revisione del Trattato di cui si parla e nella realtà delle cose europee, prendendo le necessarie decisioni; compresa quella di esaminare l’opportunità di restare o meno nell’Unione o nella sola euro area, come ha fatto e fa il Regno Unito gestendo autonomamente tassi di interesse, creazione monetaria e rapporti di cambio", scrisse Savona, "se l’Italia decidesse di seguire il Regno Unito – ma questa scelta va seriamente studiata – essa attraverserebbe certamente una grave crisi di adattamento, con danni immediati ma effetti salutari, quelli che ci sono finora mancati: sostituirebbe infatti il poco dignitoso vincolo esterno con una diretta responsabilità di governo dei gruppi dirigenti".
"Un Piano A per l'Europa"
Interessante anche una lettera dello scorso aprile indirizzata al Sole 24 Ore, quando forse l'economista stava già venendo sondato come possibile ministro. "Di fronte all’impossibilità 'd’avere i numeri' perché si formi una coalizione di governo diversa, aleggia la possibilità che, per evitare una probabile crisi, il Paese sarà posto di fronte al dilemma di sottostare alla volontà europea di un’ulteriore perdita della sovranità fiscale in cambio di un’assistenza finanziaria (Grecia docet) che comporterà una tassazione massiccia e tagli salariali 'per rientrare nei parametri di bilancio pubblico'. Il risultato sarebbe una nuova caduta del PIL e dell’occupazione e il problema politico si tramuterebbe in uno di stabilità sociale, come già i risultati elettorali indicano stia accadendo", scrive Savona.
Il passaggio da sottolineare è però quello nel quale leggiamo: "La soluzione non può se non essere quella che il Presidente Mattarella non accetti un Governo che ponga il Paese in questa condizione, anche perché non rifletterebbe la volontà degli elettori, rinvii alle Camere il Governo Gentiloni e indica nuove elezioni inviando allo stesso tempo un messaggio al Parlamento in cui chieda chiarezza sulla collocazione dell’Italia nell’Unione Europea. Le proposte di approvare un reddito di cittadinanza (o come lo si chiami), di eliminare la legge Fornero e di attuare altre costose promesse vanno collocate realisticamente in questa scelta. È ciò che ho chiamato Piano A per restare in Europa. Se invece si seguono disegni velleitari, i partiti facciano sapere quale sia il loro Piano B per uscire dall’Europa". La domanda è legittima: questo endorsement per alcuni dei principali punti programmatici di Lega e M5s segue o precede contatti con Di Maio e Salvini? Non dimentichiamo che in passato Savona si espresse a favore di un sistema pensionistico basato sul metodo contributivo.
"Tutt'altro che un pericolo"
A ribattere a chi identifica Savona come un possibile spauracchio per Bruxelles è anche la stampa economica. Per Milano Finanza, l'accademico sardo è "tutt'altro che un pericolo": "Savona, è vero, è un euroscettico con razionalità assoluta. Tradotto in poche parole, il concetto del professor Savona è il seguente: il trattato di Maastricht ha stabilito degli obiettivi e di conseguenza sono stati stabiliti dei parametri all’economia dei paesi dell’Unione europea. È di tutta evidenza che gli obiettivi di Maastricht sono stati in larghissima parte mancati. Se si vogliono ottenere ancora validi per tenere l’Europa unita gli obiettivi di Maastricht, è indispensabile ridiscutere i parametri. È perfino offensivo, sia pure in un governo assai bizzarro e con fondamenta precarie, pensare che Savona possa essere un pericolo per l’Italia in Europa: al contrario, una personalità della sua razionalità, della sua esperienza, della sua dignità con capacità critica nei confronti di tutti è la migliore garanzia che ci possa essere per far sì che l’Unione europea non imploda".
Secondo Italia Oggi, Savona è "il miglior candidato possibile": "Savona non prenderà certamente ordini, ma avendo scritto l’articolo 38 del piano collegato all’articolo 3 del trattato di Maastricht, sarà una garanzia per tutti. Pensare di imporre per quella posizione di ministro dell’economia un banchiere con scarse conoscenze internazionali, con nessuna esperienza di governo e per di più abituato a dire sempre sì invece che no quando serve, sarebbe un grave errore per l’Italia e per l’Europa. Se c’è una luce in un governo dai piedi d’argilla è sicuramente la prospettiva di Savona ministro dell’economia". Per Il Sole 24 Ore, infine, "Savona non può essere considerato un euroscettico, ma di fronte a chi chiede «più Europa» risponde che l’Europa così com’è congegnata oggi non va.
Chi è Paolo Savona
"Dopo la laurea in Economia e commercio nel 1961 Savona inizia la sua carriera presso il Servizio Studi della Banca d’Italia, dove raggiunge il grado di direttore", ricostruisce Il Sole 24 Ore, "nel 1976 vince il concorso a cattedra e lascia la Banca d’Italia per insegnare Politica economica prima all’università di Cagliari e subito dopo alla Pro Deo, che contribuì a rifondare come Luiss. Lo stesso anno Guido Carli diventa Presidente di Confindustria e Savona ne diventa Direttore generale. é stato ministro dell’Industria con delega al riordinamento delle partecipazioni statali nel Governo Ciampi (aprile 1993-aprile 1994) e poi nel biennio 2005-2006, durante il governo Berlusconi III, ha guidato il Dipartimento per le Politiche comunitarie di Palazzo Chigi. È presidente della Fondazione Ugo La Malfa e vice presidente vicario dell’Aspen Institute Italia".