Orari e cartellino sono il passato. Dopo i braccialetti di Amazon, la sorveglianza dei rider tramite le app, ora arrivano cappelli e caschi con sensori elettronici in grado di 'leggere le emozioni' degli operai e adattare le loro mansioni a stress e stati d'animo del momento. Non è fantascienza, né futuro, ma in Cina una realtà già sperimentata da alcune aziende con l'obiettivo di aumentare la produttività ed elevare il livello di sicurezza sul lavoro. Alcune imprese di Pechino (supportate dal governo) 'leggono nella mente dei lavoratori': si tratta della Hangzhou Zhongheng Electric (che produce dispositivi elettronici), la State Grid Zhejiang Electric Power (che opera nel settore elettrico) e l'alta velocità Pechino-Shanghai.
A un primo sguardo, uniformi e divise non hanno nulla di diverso dal solito. La differenza è nascosta: basta un piccolo impianto integrato all'interno dei caschi degli operai o dei cappelli da ferroviere. I sensori captano le onde cerebrali e inviano le informazioni all'intelligenza artificiale. Quest'ultima mastica i dati e, grazie a un algoritmo, capisce se il lavoratore è stressato, in ansia, depresso, arrabbiato o troppo stanco.
I manager della Hangzhou Zhongheng Electric e della State Grid Zhejiang Electric Power, intervistati dal South China Morning Post, affermano di aver avuto "indubbi benefici", grazie a un deciso incremento della produttività e del fatturato. Ma sostengono che ci siano vantaggi anche per i lavoratori. Sorvegliare il cervello e tenere sotto controllo i livelli di stress permette di modulare quantità e ritmo delle pause. Per la salute degli operai e per l'efficienza della catena produttiva.
Tra i progetti che, grazie ai fondi pubblici, stanno facendo ricerca sulla 'sorveglianza emotiva', c'è Neuro Cap, dell'università di Ningbo. Uno dei responsabili, la professoressa di psicologia cognitiva Jin Jia, spiega che un dipendente "altamente emotivo" in una posizione chiave può "inficiare l'intera linea produttiva". Mentre i dispositivi sviluppati nel suo laboratorio "non lasciano spazio all'errore. Quando il sistema lancia un avvertimento - spiega - il manager può chiedere al lavoratore di prendersi un giorno libero oppure può spostarlo su una mansione meno critica".
La società Deayea Tecnology ha sviluppato un dispositivo simile. E afferma di averlo già utilizzato sui conducenti del treno veloce Pechino-Shanghai per monitorare soglia di attenzione e affaticamento. Presto potrebbe toccare anche ai piloti di aerei. L'idea di fondo è che, soprattutto nei ruoli di responsabilità, è fondamentale capire se un lavoratore sia in grado di svolgere il proprio compito nel miglior modo possibile. Anche la società di logistica Ningbo Shenyang Logistics ha adottato la sorveglianza emotiva. Ma solo durante l'addestramento dei propri autisti.
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La reazione dei sindacati italiani è fredda e scettica. Non si tratta di diffidenza ma di cautela. Cgil, Cisl e Uil mettono in guardia: la tecnologia deve essere al servizio delle persone e non viceversa. No allo 'schiavismo' tecnologico, per questo serve una legislazione specifica e uno spazio contrattuale. "L'uso delle tecnologia per 'leggere le emozionì dei lavoratori è preoccupante: occorre stare attenti a non sconfinare nel campo dello sfruttamento e dello schiavismo tecnologico", afferma il leader della Uil Carmelo Barbagallo. "Le innovazioni - aggiunge - devono essere usate nel rispetto della dignità e della persona. Servono regole per le multinazionali e contrattazione aziendale".
Secondo Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl, queste notizie impongono al sindacato "attenzione e innovazione per creare nuove tutele che evitino ai lavoratori di dover solo subire le tecnologie digitali". "Noi - aggiunge - continuiamo a pensare che la produttività si possa aumentare più con un coinvolgimento consapevole dei lavoratori che con nuovi 'trucchi tecnologici'. Ma certamente dovremo essere capaci di governare le tecnologie a partire dalla privacy dei lavoratori coinvolti".
Alessio Gramolati, coordinatore ufficio progetto Lavoro 4.0 della Cgil avverte: "Una tecnologia non è mai neutrale, dipende dall'uso che se ne vuole fare, se davvero è messa al servizio della sicurezza ben venga, ma in nome della sicurezza non bisogna violare la libertà delle persone. Esiste infatti il rischio che un uso avido la faccia diventare un ulteriore strumento di controllo". "C'è bisogno - conclude - da una parte una legislazione sociale all'altezza della nuova sfida che dia garanzia del fatto che le tecnologie vengano usate per dare maggiore trasparenza ai processi. Dall'altra uno spazio contrattuale per andare a verificare che questo sia vero, quello che noi chiamiamo contrattare l'algoritmo".