Negli ultimi mesi, l'Italia si è abituata a vedere il segno meno davanti ai dati sugli investimenti in startup. Il 2018 si è però aperto in un'altra direzione, almeno per l'equity crowdfunding. I volumi (se confrontati con l'estero) non sono ancora esplosivi. Ma questo strumento di raccolta comincia a diventare consistente sulla bilancia degli investimenti italiani.
La raccolta record del primo trimestre
Il primo trimestre 2018 è stato (di gran lunga) il più ricco di sempre: le campagne di equity crowdfunding chiuse con successo sono state 24 e la raccolta ha raggiunto i 5,9 milioni di euro (+180% anno su anno), coinvolgendo 2100 investitori. La somma ottenuta in 90 giorni, quindi, vale la metà di quella ottenuta nell'intero 2017 (11,7 milioni). L'equity crowdfunding, in cui una “folla” (crowd) di investitori entra nel capitale di startup e Pmi con l'intermediazione di una piattaforma digitale, sembra quindi accelerare in modo consistente. Un momento che si aspettava dal 2014, cioè da quando il settore è stato regolamentato in Italia (con alcune correzioni in corsa che hanno reso il processo più agile).
Nel 2017 ha rappresentato l’8,7% degli investimenti complessivi in startup. Una quota, vista la partenza, destinata ad ampliarsi nel 2018. A spingere il settore nel primo trimestre è stata soprattutto la piattaforma Mamacrowd (braccio operativo di Siamosoci): ha raccolto 2,8 milioni di euro (il 47% dell'intera raccolta italiana) e ha chiuso con successo 7 campagne (tra le quali la più ricca di sempre per il nostro Paese).
La sfida delle Pmi
“L'equity crowdfunding – afferma il direttore generale di Siamosoci Massimiliano Ceaglio - rappresenta un’opportunità di crescita e sviluppo per tanti settori con idee innovative”. E, da gennaio, non solo per le startup. La normativa ha infatti aperto le piattaforme alle Pmi. “Credo che la crescita di operazioni e ammontare investito sia fisiologica”, spiega Dario Giudici, presidente di SiamoSoci e fondatore di Mamacrowd. “Le piccole e medie imprese portano con sé un business consolidato e utilizzeranno l'equity crowdfunding per raccogliere cifre maggiori”. Certo, le difficoltà non mancheranno. Perché il tessuto imprenditoriale italiano è, per tradizione, tanto frammentato quanto geloso della propria autonomia.
“Questo è un tema cruciale”, conferma Giudici. “Ma crediamo che ci saranno passi avanti promuovendo la conoscenza dello strumento. Spesso le imprese non si aprono a capitali esterni per i timori di ingerenze sulla gestione. L'equity crowdfunding dà la possibilità di emettere quote e azioni senza diritti di voto. Ottenendo risorse e un nuovo network di soci senza però perdere il controllo della governance. E poi sono convinto che il ricambio generazionale nelle imprese familiari contribuirà a una maggiore apertura”. Dall'altra parte, però, ci sono gli investitori che dovranno accettare di non mettere bocca nell'azienda sulla quale hanno puntato i propri soldi. “Spesso gli utenti della piattaforma – sottolinea Giudici – non sono interessati alla gestione ma vogliono solo diversificare i propri investimenti. E poi nulla vieta alle imprese di concedere diritto di voto oltre una certa soglia investita. È chiaro che chi investe di più voglia avere potere decisionale”.
"Le banche non sono il nemico"
L'equity crowdfunding rende possibile creare un portafoglio diversificato di startup e Pmi anche con somme contenute. Nessuna concorrenza, però. Né con venture capital e business angel (come investitori), né con le banche (come canale per ottenere risorse). “Gli investitori professionali – continua Giudici - tendono a focalizzarsi su operazione di una certa dimensione e i business angel su investimenti territoriali. C'è invece una mancanza di fondi nella fase che va dalla nascita della startup e all'ingresso dei venture capital. L'equity crowdfunding colma questo spazio, con volumi più contenuti ma con un numero più elevato di operazioni”.
Non si tratta però di un'alternativa al credito bancario. “Non siamo una minaccia per le banche ma uno strumento complementare”, afferma Giudici. “Le Pmi hanno spesso un problema di sottocapitazzazione, che limita l'accesso al credito. Il crowdfunding può essere utile per ricapitalizzare, permettendo alle imprese di ottenere finanziamenti e alle banche di avere maggiori garanzie”.
Le campagne di successo
In attesa che le Pmi conquistino spazio, il grosso delle campagne arriva dalle startup. Anche se quella più ricca mai chiusa in Italia (su Mamacrowd, sempre nel primo trimestre 2018) una startup non è. Si tratta di Club Italia Investimenti 2, un portafoglio nel quale gli utenti della piattaforma hanno messo 1,2 milioni di euro. Che saranno poi utilizzati per supportare le imprese innovative. Una cifra che segna un nuovo record, superando la campagna di Green Energy Storage, che nel 2017 aveva raccolto poco più di un milione di euro. Dei progetti che approdato su Mamacrowd, l'89% raggiunge l'obiettivo fissato. Merito, spiega Giudici, di una rete di partner fatta di incubatori e acceleratori. Sono spesso queste strutture a fare una prima scrematura. Per poi lasciare alla piattaforma “un giudizio di ragionevolezza dell'offerta”.
In altre parole: Mamacrowd decide se la richiesta della startup è congrua con il suo valore e con i suoi obiettivi. Più o meno la metà dei progetti “segnalati” dagli incubatori attiva campagne su Mamacrowd. Quelli che passano per l'autocandidatura, non avendo affrontato alcun setaccio, vengono spesso bocciati (nel 95-97% dei casi).
Cosa cercano gli investitori
Lasciar passare solo progetti di qualità è interesse della piattaforma. Anche perché il crowdfunding non perdona. “È come essere in una scatola di vetro”, spiega Ceaglio. “Gli utenti sono attenti a ogni dettaglio, come in una due diligence diffusa che va avanti per tutto il tempo della campagna”. E allora come si individua una società di successo? Come al solito, non ci sono formule matematiche. Il supporto degli incubatori o il gradimento del mercato sono i primi indizi. Poi, afferma Giudici, “devono essere progetti che vanno raccontati e resi comprensibili. Non tutti quelli buoni sono adatti all'equity crowdfunding”.
Il settore di appartenenza non è decisivo: “Abbiamo capito – spiega il presidente di Siamosoci - che non c'è una predilezione verso una specifica tecnologia quanto verso altre caratteristiche. Gli investitori non puntano su aziende ancora in fase di prototipazione. Cercano progetti che siano già stati testati sul mercato, che abbiano già un fatturato, un team competente e una struttura per la commercializzazione e il marketing. Gli investitori privati possono così avere più punti di riferimento. È per questo motivo che il percorso più auspicabile passa da un percorso di accelerazione per finire sulla piattaforma”.